STRYPER: REBORN
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19/09/2005Era uno dei ritorni più attesi, un come-back arrivato dopo la bellezza di ben quindici anni se si escludono gli inediti registrati in occasione del Best Of "7", che ha visto la luce del mercato discografico esattamente due anni fa. Ora, finalmente, "Reborn" è disponibile unitamente sia sul mercato europeo che su quello americano, destinazioni per le quali sono stati creati due artwork differenti, così com'è possibile vedere nella gif animata in testa alla recensione in esame. "Reborn" rappresenta, per i portavoci più famosi del rock cristiano nel mondo, un po' quello che "Start From The Dark" ha significato per gli Europe, e cioè un come-back improntato su una decisa modernizzazione del proprio sound e della propria proposta, necessaria per affacciarsi alle porte del terzo millennio senza risentire di quell'eccessiva staticità legata ad un'immagine ed un nome in ogni modo debitore alla storia. Rispetto al lavoro dei colleghi scandinavi (che il sottoscritto non è riuscito a digerire tutt'ora a fondo), però, gli Stryper dimostrano di essere riusciti a confezionare un prodotto di qualità sensibilmente maggiore, contraddistinto da un songwriting nettamente più ficcante e da linee melodiche dal maggiore tiro commerciale, cosa che rende "Reborn" un album che sa gettarsi con riuscita personalità all'interno del nuovo corso intrapreso dai pionieri del white metal. L'elemento che rimane nettamente ad appannaggio di Tempest e soci è, invece, quello che riguarda il lato più specifico della produzione, la quale, per quanto concerne il lavoro ivi in analisi, tende in taluni momenti a risultare leggermente confusionaria nei momenti di maggiore "piena" strumentale, il tutto peggiorato in modo deciso dal deficitario sound cartonato del rullante. Le melodie tipiche dei rockers statunitensi sono comunque ancora presenti per la gioia di tutti i fans più accaniti, così come la forte carica emozionale delle loro più intense ballad, come sempre ben interpretate dalla quasi sgraziata e più che mai peculiare voce di Michael Sweet, ora però maggiormente improntata su un mood più scuro e contemporaneo rispetto a quanto intravisto nei dischi storici del gruppo (il rifacimento della celeberrima "In God We Trust", posta in calce alla tracklist del cd, ne é sicuramente l'esempio migliore). Per questi e molti altri motivi esorto tutti gli aficionados a non accantonare gli Stryper sulla scia della loro decisa virata stilistica, cosa che per il sottoscritto sarebbe un errore alquanto grossolano, visto e tenuto conto dei tanti punti di interesse contenuti all'interno di questo positivo "Reborn". Da parte mia invece non posso che inoltare ai rockers i migliori auguri tipici dei grandi come-back, anche perché, detto con tutta sincerità, la loro mancanza iniziava seriamente a farsi sentire.
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