STRYPER: Soldiers Under Command
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18/10/2010Negli anni '80 in Europa c'era una lotta fratricida tra chi osava ascoltare gli Stryper e chi ascoltava tutto il resto. Essere un fan degli Stryper era veramente una sorta di anticonformismo alla rovescia, paradossale e ridicolo. Nessuno ascoltava allora con attenzione i testi dei Kiss, Ratt, Motley Crue, oppure dei Quiet Riot, si ascoltavano le melodie e come tecnicamente era suonato il disco. Con gli Stryper accadeva l'opposto. Che poi fosse tutto una montatura, che il lancio delle Bibbie dal vivo fosse alquanto grottesco possiamo pure condividerlo, però forse nessuno si preoccupava che con questo disco era stata composta un'opera che ancora oggi è una pietra miliare, una qualità tecnica di livello esorbitante, un prodotto anni luce avanti a tutto quel che girava allora. Se solo avessero cantato di fighe e tette chissà dove sarebbero arrivati. Uscito nel 1985 insieme a 'Theatre Of Pain' dei Crue, 'Asylum' dei Kiss, 'The Last Command dei Wasp, 'Ready To Strike' dei King Kobra e '7800° Fahrenheit' di Bon Jovi, tutti dischi in teoria di rilievo e di spessore, fanno subito rendere conto che quello dei nostri quattro angioletti era marcatamente migliore. Michael Wagener è il responsabile della produzione che fa risultare ancora oggi questo prodotto come un pungo in faccia, suoni perfetti, mixati in maniera superba, dieci pezzi compresa la cover di "Battle Hymn Of The Republic" (che gli ipocriti sostengono che fino a quando la fanno i Manowar è un capolavoro, quella degli Stryper è immondizia! Sempre un inno a Dio è!), due ballad che negli anni hanno avuto il giusto riconoscimento di cui ai tempi dell'uscita del disco non avevano potuto disporre. 'Soldiers Under Command' non è glam, non è bubble gum rock, è puro hard rock con sconfinamenti nell'heavy metal. La title track è quanto di più complesso, armonioso, atipico, tecnicamente avanzato i nostri abbiano mai composto. Ciò che stende l'ascoltatore è la voce di Michael Sweet che è quanto di più sublime il rock abbia mai donato a noi poveri umani. Un'estensione clamorosa, passa dai toni bassi ad tre ottave sopra rasentando il femmineo, cosa assurda è che dal vivo è forse quasi più bravo. Le due chitarre sono perfette nella divisione dei soli, e nelle stesse parti che sono complesse allo spasmo che portano a credere che siano semplici armonie. Brani come "Surrender", "Reach Out" e la tirata "Makes Me Wanna Sing" sono devastanti come costruzione, armonie vocali e abilità ritmiche. I due sopracitati lenti ("First Love" e "Together as One") ad un primo ascolto sembrano cantati da una donna talmente le strofe sono delicate e soavi, grandissimo l'incedere nei ritornelli e le apertura negli assoli. Insomma, un capolavoro in tutto, non c'è un pezzo fuori posto o meno bello degli altri, anche la cover di cui sopra è memorabile per la prestazione di Michael Sweet. L'unica nota stonata è l'orrenda copertina. Dopo questo disco la band si ammorbidì parecchio accrescendo il successo (almeno negli States), ma senza mai ritrovare la verve profusa in questo sontuoso prodotto. Ed i testi? Leggeteli se vi pare, per me sono gran belle parole d'amore. E pensare che i Motley Crue scrivevano "sometimes maybe I drink too much but my heart's still in touch" e tutti pensavano "che fighi"!
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