VAGH: INTO THE FUTURE ZONE
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23/11/2004Ci sono gruppi che, per svariati motivi, mi capita di cancellare dalla mente in poco tempo, e questo a prescindere dal valore della musica da essi proposta; altri, invece, rimangono stranamente e maggiormente impressi nel mio immaginario musicale, forse per qualche idea accattivante da questi proposta, o magari per un piglio particolarmente compatibile con le mie coordinate sonore preferite, ancorate al più tipico hard-rock di derivazione prettamente melodica. All'interno della seconda corrente citata inserisco senza esitazioni gli scandinavi Vagh, band che avevo avuto il piacere di recensire due anni or sono nel loro debutto "Sands Of Time", un disco piacevole ma sicuramente non esente da pecche, le quali finirono per limarne in maniera consistente un altrimenti buon risultato finale. Inutile quindi dire che attendevo con molta curiosità il loro secondo disco in studio, finalmente ultimato in questo 2004 in corso, sempre sotto la direzione della Slick City Slackers Productions. Il risultato? Un altro album di caratura più che discreta, che alterna idee assolutamente pregevoli a piccole ingenuità uniformente distribuite, fattori che danno ancora vita ad un lavoro godibile ma imperfetto. La line-up coinvolta è a grandi linee la stessa che ha dato vita al precedente cd, con l'aggiunta di un paio di guest all'interno delle varie tracce e la dipartita del defezionario keyboards-player Tom Rask, qui sostituito a turno dai due improvvisati (ma comunque meritevoli) Vagh e Rosell. Le parti vocali sono ancora una volta affidate a Jonas Blum, un singer che a conti fatti non riesce ancora a convicermi del tutto, intervallato però in alcuni brani sia dalla maturata Noomi Stragefors (anch'essa già presente in "Sands Of Time"), sia dal new comer John Marshall Gibbs, un singer positivo ma anch'egli nella media. La produzione, nettamente migliorata per quanto riguarda le chitarre, denota un flebile calo relativamente alla resa di alcune parti di batteria, leggermente meno incisive rispetto al già enunciato debutto, ma soprattutto, fattore molto più importante, non riesce a donare quel giusto pathos sonoro utile a far decollare in maniera decisa un'uscita come questa, piacevolmente migliorata rispetto al passato, ma ancora staccata dalla notevole qualità dei prodotti della concorrenza. Alla fin fine, comunque, non posso esimermi dallo spendere un'ulteriore buona parola nei confronti dei Vagh, una band che, tra palpabili imperfezioni e qualche piccola perplessità di fondo, riesce ad essere dannatamente più onesta e coinvolgente rispetto a tanti grossi nomi, i quali, trascinati dalla radicata imposizione della propria immagine, riescono a svendere ovunque prodotti unicamente a base di fumo e cenere. Dai ragazzi, io ci credo ancora.
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