TEFRA: THE LAST DANCE
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26/12/2006Ho come l’impressione che il Doom, movimento underground per eccellenza seguito da pochi ma fedeli appassionati, si stia inesorabilmente tramutando in un genere eccessivamente aperto in cui chiunque crede che comporre una canzone di sei minuti composta da due riffs in croce, da un cambio di tempo e il cui testo parla di disillusione e di fallimenti basti a raggiungere lo standard di questa musica, tralasciando un fattore essenziale come l’originalità. I Tefra, inglesi ma adottati dall’etichetta italiana Northwind, sono attivi addirittura dal 1996 e vantano un curriculum comprendente già alcune uscite tra demo, Ep e split. “The Last Dance” è il loro debutto su full lenght, esce con 2 anni di ritardo (era pronto dal 2004) a causa di alcune difficoltà e purtroppo rientra nella generalizzazione negativa da me “denunciata” nell’introduzione alla recensione. Se spesso nel Doom capita di ascoltare gruppi simili tra loro ma ugualmente meritevoli, in questa occasione si assiste inoltre ad una mancanza totale di idee e qualità. La loro è la classica musica direttamente discendente dai Black Sabbath storici senza però la componente settantiana, uno stile interpretato magnificamente negli anni ’90 dai Count Raven su tutti, e dove si sentono influenze di Revelation, Warning e Mirror Of Deception (gli ultimi due soprattutto nei momenti più lenti e soffusi): ovviamente, gruppi di tutt’altra caratura. Se la prima traccia “Efialtes” ci fa quindi ben sperare, risultando piuttosto coinvolgente e sufficientemente intensa, ci si accorge nel corso del disco che è in realtà l’unico episodio decente: di qui in poi difatti il tutto si fa di una piattezza e un’inconsistenza preoccupanti. Non un riff accattivante, non una ritmica interessante, non un’atmosfera degna di nota. Ci si riduce ad una moltitudine di arrangiamenti sentiti e risentiti, a numerosi arpeggi troppo noiosi, a parti solistiche direi quasi irritanti (senza contare la fin troppo evidente somiglianza della parte centrale di “Ask Whoever” con quella della ben più nota “Sabbath Bloody Sabbath” di Iommi e Co.: plagio o citazione, non sta a me imbastire la polemica). Insomma, non c’è traccia di un minimo di ispirazione.
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