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BLOODBOUND: BOOK OF THE DEAD

data

10/07/2007
68


Genere: Heavy
Etichetta: Metal Heaven
Anno: 2007

I Bloodbound sono stati per me una gran rivelazione, una di quelle band che mi hanno fatto seriamente apprezzare la Metal Heaven, label che ha dimostrato in più occasioni buon orecchio e lungimiranza. Ora, a un anno dal disco d'esordio, la band torna col secondo lavoro "Book Of The Dead". E subito arrivano le sorprese: in un anno, i cambi di line up sono stati tanti e tali da stravolgere l'identità della band. Gente che va e che torna, che se ne va di nuovo, nuove entrate... sconcertante, per una band agli esordi (per quanto i membri non siano certo alle prime armi, tant'è vero che il gruppo doveva essere un side project). Capiamoci, tra le new entry figura un certo Michael Bormann: mi piaceva da impazzire la voce di Urban Breeb, ma ragazzi, chi non sa chi sia Bormann vada a studiare... Ad ogni modo, già questo rende il "legame di sangue" poco saldo; ma le sorprese vere e proprie devono ancora arrivare. Se da un lato lo stile è rimasto virtualmente intoccato, un Heavy discretamente melodico con fortissime influenze dagli Iron Maiden degli anni '80, spunti di Judas Priest ed un po' di Power Heavy alla Hammerfall (soprattutto per la sessione ritmica, ma anche per quanto concerne alcuni passaggi vocali), l'impatto dei pezzi è divenuto meno diretto: a fronte di un esordio potente ed immediato, il sequel "Book Of The Dead" presenta sicuramente delle linee melodiche orecchiabili, ma sicuramente anche meno accattivanti, in qualche misura semplicistiche. Certo, dopo qualche ascolto prende, ed effettivamente si dimostra un buon album; ciononostante, rispetto a "Nosferatu", album viscerale che conquistava già dal primo ascolto, "Book Of The Dead" si dimostra un disco di lenta digestione, che anche una volta assimilato non arriva ai picchi emotivi raggiunti dal suo predecessore. I pezzi più azzeccati si trovano all'inizio dell'album (l'opener "Sign Of The Devil", la seguente "The Tempter" ed altre"), rendendo l'ascolto meno fludio di quanto non si potesse ottenere con una diversa distribuzione della tracklist; inoltre, pare che la band abbia voluto lavorare più sull'aspetto live dei brani: aumentati i cori, aumentati i passaggi da "pubblico, canta con me"; diminute le dimostrazioni di potenza sonora e tecnica che rendevano così affascinante l'esordio. Aumentati anche gli effetti sulla voce, rendendo il disco elaborato ma in qualche modo contrastante con l'idea di naturallezza e semplicità tanto ottantiana che aveva caratterizzato "Nosferatu". Mi rendo conto che "Book Of The Dead" andrebbe valutato in quanto tale, avulso dal suo predecessore; eppure viene spontaneo il confronto, tanto era stato una gradita sorpresa il primo disco. Se questo fosse stato il primo lavoro, avrei sicuramente scommesso meno sulla band. E' il secondo: spero che il terzo segni un ritorno "alle origini", ancora fortunatamente abbastanza vicine da non venir scordate.

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