BLOODBOUND: Rise Of The Empire Dragon
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26/03/2019Con un look improponibile ed una copertina pacchiana che fa il verso a 'Triolgy' del Maestro Malmsteen, i Bloodbound si riaffacciano dopo circa due anni da 'War Of Dragons', molto altalenante con luci, ma anche parecchie ombre. Un cd piuttosto derivativo dove i ragazzi andavano a far razzia con i brani dei Sabaton più commerciali, ed ampie incursioni nella discografia degli happy metaller Freedom Call. Certo il titolo della nuova opera dà adito a facili ilarità, e non può essere 'Rise Of The Dragon Empire" a segnare un decisivo punto di svolta in termini di evoluzione compositiva. Tra power e melodic metal si rincorrono cori e coretti, passaggi sinfonici abbastanza scontati, alcuni assoli al fulmicotone, ritmiche a tratti serrate, ma con un guitar sound mai troppo aggressivo, e tappeti di tastiere. Insomma, i soliti Bloodbound come li abbiamo sempre conosciuti (fatta eccezione per i primissimi lavori della loro carriera, più orientati ad un tipico heavy power), in cui la voce nasale di Patrik J.Selleby si presenta piuttosto bene nel muoversi con le liriche per lo più ispirate ai romanzi fantasy. Il problema che affligge una parte molto consistente di album di tale fattispecie è la totale mancanza di personalità ed estro compositivo, anche se il sestetto capeggiato da Fredrich Berg e Tomas Olsson dimostra sicuramente buone qualità a livello esecutivo/strumentale, tentando qualche variazione dall'andazzo generale in "Balerion", up tempo pomposo in cui si intravedono bagliori di Royal Hunt. Detto questo, la band tiene botta dall'inizo alla fine, i brani si dipanano in modo scorrevole (e la ballad strategicamente è piazzata a fine cd) risultando sicuramente appetibili per una determinata frangia di ascoltatori che oltre a Sonata Arctica e gli Stratovarius più diretti e melodici riescono ad apprezzare Reinxeed e Dyonisus, band sicuramente di fascia inferiore in cui i anche Bloodbound rientrano a pieno titolo.
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