OPETH: GHOST REVERIES
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26/09/2005Ci avevano lasciati due anni fa con l'album più riflessivo della loro carriera, quel "Damnation" che, ricco di suggestioni settantiane, aveva messo in luce il carattere più dark e progressivo della band. Adesso gli Opeth sono tornati con un nuovo capitolo, un nuovo emozionante lavoro che sfugge a qualsiasi tentativo di catalogazione: il death metal viscerale e soffocante degli esordi è ancora presente, ma se fino a qualche anno fa restava la componente principale della proposta del combo svedese, adesso è solo una delle tante forme espressive utilizzate nel processo creativo che ha portato alla realizzazione del presente album. E questo "Ghost Reveries" infatti non è nient'altro che l'ennesima testimonianza del talento di Åkerfeldt e soci, abili come pochi altri nel saper dar vita ad opere d'arte così complesse e in cui convergono le influenze più svariate. Non si spiegherebbe in altri modi la presenza di un brano fortemente introspettivo come "Hours Of Wealth", tra l'altro uno degli episodi migliori del lotto, che, attraverso le flebili note del pianoforte, sembra resuscitare il gusto malinconico di certi vecchi blues. C'è però spazio anche per brani, che almeno a tratti risultano più coerenti con il passato degli Opeth, brani dove il growling di Åkerfeldt è quasi sempre in bella mostra, a discapito di quelle clean vocals, comunque presenti, che da "Blackwater Park" in avanti hanno trovato sempre più spazio all'interno della produzione degli svedesi. E' il caso della maestosa opener "Ghost Of Perdition", capace di avvolgere e sconvolgere l'ascoltatore con quel suo incedere prima oscuro e claustrofobico poi più ritmato ed ipnotico. "Reverie/Harlequine Forest" è il classico pezzo che potrebbe far innamorare degli Opeth chi non ne ha mai sentito parlare: qui c'è davvero tutto il meglio della carriera del combo scandinavo, dalle atmosfere più dannatamente buie alle linee di chitarra più sofferte (ottimo Lindberg), dal growling più impetuoso alle interpretazioni più sussurrate ed intense. E senza dimenticare "The Grand Conjuration", "Beneath The Mire" e "Atonement", canzoni che basterebbeo da sole a fare la fortuna di tante altre band. Insomma gli Opeth sono tornati, alla loro maniera, riuscendo a mescolare sapientemente il loro passato più estremo con il loro presente più progressivo, per un risultato globale che convince pienamente e li consacra ancora una volta come una delle realtà più entusiasmanti ed inimitabili della scena attuale.
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