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Day Six: The Grand Design

data

25/09/2010
82


Genere: Progressive
Etichetta: Lion Music
Distro: Frontiers
Anno: 2010

Nuova fatica discografica per i Day Six, progetto nato in Olanda nel 2002 che dopo aver affrontato un'estenuante, ma altamente fruttuosa gavetta live ed aver partecipato con notevole successo a competizioni del calibro di Metal Battle ed Aardschok Metal Bash, sono riusciti ad entrare sotto l'ala protettrice della Lion Music ed a dare alla luce questo nuovo lavoro intitolato 'The Grand Design'. Sin dalle prime note risulta subito chiaro che l'obiettivo principale del gruppo non risiede nel comporre brani semplici e/o commerciali; al contrario ci troviamo dinanzi a nove tracce strutturalmente molto complesse in cui è possibile ritrovare, oltre a tutti i canoni della migliore tradizione progressive, anche delle ottime e raffinate partiture. A questo punto qualcuno potrebbe pensare: ecco qui la solita solfa del concept album noioso e ripetitivo. Ed è proprio qui che casca l'asino: trovare dei difetti in questo lavoro è praticamente impossibile, a meno che non si prenda in esame la trama che collega le varie liriche che trattano il tema, ampiamente congestionato e che troppo spesso rischia di cadere nella banalità, del complotto internazionale teso a nascondere la presenza degli alieni. Infatti sotto l'aspetto musicale il gruppo mette in mostra delle qualità che definire eccellenti è un puro eufemismo. Il gruppo ha strutturato le singole tracce prestando un'attenzione quasi maniacale sia alla struttura delle stesse quanto all'aura che li circonda, senza parlare dei frequenti e formidabili cambi di tempo e di tema. Ne sono un chiaro e lampante esempio "Massive Glacial Wall" in cui il gruppo, facendo sfoggio di tutta la propria classe, partendo da un tema portante si diletta nel creare delle stupende divagazioni; "Lost Identity", brano caratterizzato da un inizio soffuso ed altamente atmosferico che funge da tappeto sonoro per l'irrompere maestoso di melodie e riff che, grazie anche al sapiente utilizzo del sax, ai raffinati duelli tra chitarra e basso e ad un finale in cui si toccano addirittura i lidi del blues, fa tornare in mente i vecchi fasti del progressive dei seventies. Ci sarà sicuramente qualche purista del genere che obietterà che questo gruppo possa apparire la fotocopia dei grandi mostri sacri del settore. A queste persone io potrei tranquillamente replicare che essendo questo il loro album di esordio ufficiale, queste piccoli ed insignficanti particolari possono chiaramente scomparire dinanzi al coraggio che la band ha dimostrato nel dare alle stampe un lavoro così ambizioso, e che sfiora in molti punti la perfezione. Non resta che attendere il successore in modo da tastare con mano i progressi del gruppo.

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