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CHIMAIRA: CHIMAIRA

data

02/09/2005
92


Genere: Modern Heavy Metal
Etichetta: Roadrunner Records
Anno: 2005

Dimenticate tutto quello che pensavate di sapere a proposito dei Chimaira; buttate alle ortiche qualunque previsione abbiate avuto in testa che contemplasse le parole ‘metalcore’ o ‘nu metal’. Sarebbe stato facile (per loro) e redditizio (per la Roadrunner) dare alle stampe una fotocopia sbiadita dell’ottimo “The Impossibility Of Reason”; d’altronde non serve una laurea per rendersi conto che brani di spessore come “Cleansation”, “Power Trip” o “Down Again” escano spontanei dalla mente di Mark Hunter e soci. Che stavolta hanno deciso veramente di fare come gli pare, sfoderando un album di puro e incontaminato heavy metal. Ovviamente nell’accezione più moderna del termine, con non poche incursioni nel thrash ottantiano, ma sempre e comunque heavy metal, come potrebbero suonare gli Iron Maiden o i Metallica se si fossero formati cinque anni fa. Impressionante è, prima di tutto, la caratura tecnico-compositiva di corredo a “Chimaira” (un titolo più adatto non si poteva trovare). I brani si stagliano articolati, lunghi, ricchi di cambi di tempo e assoli a profusione opera di Rob Arnold, forse il membro della band che più è cresciuto nella competenza del suo strumento. Dicevamo, brani lunghi e complessi. Non pensiate di poter assimilare il disco dopo un paio di giri; lo spietato trio d’apertura “Nothing Remains”, “Save Ourselves” e “Inside The Horror” si faranno largo nella vostra mente con lentezza virale, come la maestosa melodia di “Salvation”, i bellicosi proclami di “Comatose” (forse il brano più vicino al passato) o la rassegnazione della conclusiva “Lazarus”, il primo pezzo che dopo tanti anni mi fa scorrere un brivido su per la schiena ogni dannata volta che lo ascolto, nel quale la band tutta si supera. Come afferma Mark stesso nella press-release, questo non è un disco da ‘primo ascolto’. Anzi, ai primi (ascolti) potrebbe addirittura annoiarvi. “Chimaira” necessita di qualche ripetuta fruizione per dare le soddisfazioni più grandi, un po’ come l’ultimo Arch Enemy se mi concedete il paragone, e nonostante la carne al fuoco sia talvolta esageratamente succosa (“Bloodlust” e “Pray For All” se snellite avrebbero funzionato decisamente meglio, ad esempio) non c’è proprio un bel niente da recriminare su una band che ha saputo crescere, evolversi con costanza e pazienza per poi dare alle stampe un lavoro maiuscolo come questo. Assoluto.

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