SYRACH: A DARK BURIAL
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06/10/2009Prima di cominciare la recensione di questo album è doveroso mettere subito in chiaro una cosa di fondamentale importanza: tutti coloro che ascoltano o hanno ascoltato musica metal sanno perfettamente che la Norvegia rappresenta l’esemplificazione e la quintessenza del genere estremo per eccellenza: il black! Se si escludono alcuni, sparuti, casi di bands dedite al death metal, dalle nordiche terre dei fiordi non sono quasi mai giunte testimonianze di vita sonora alternativa. Ma dato che esistono sempre le, cosiddette, pecore nere, ecco spuntare dalla “nera” Norvegia i Syrach, uno di quei gruppi che crede fermamente in ciò che fa. Nati artisticamente nel 1993, i nostri quattro cavalieri dell’apocalisse riescono, dopo una lunga gavetta live, ad incidere e pubblicare, nel 1996, 'Silent Seas', seguito nel 2007 da 'Days Of Wrath'. Il merito di questo gruppo è quello di aver plasmato, nel corso degli anni, il loro sound sino a renderlo molto personale ma al tempo stesso molto articolato grazie a dei brani non eccessivamente lunghi e molto diretti grazie anche al magistrale uso dello stile death. Ascoltando il fenomenale cantato del singer Ripper non possono non tornare in mente i fenomenali Morgion. I nostri eroi riescono, grazie alla geniale e massiccia presenza di riff melodici ma al tempo molto accattivanti e mai scontati, a prendere seriamente le distante dai soliti cliché che caratterizzano la scena death/doom americana e riescono a rientrare, a pieno titolo, nello stile doom inteso nella sua accezione più classica. La massiccia presenza di brani molto orecchiabili e di grande impatto fanno sì che questo album possa essere facilmente apprezzato anche da coloro che sono profani delle sonorità doom. Un’altra fondamentale caratteristica di questa band è rappresentata dalla loro precisa scelta di evitare ogni tipo di estremizzazione sia a livello strumentale che vocale: basta ascoltare i vari brani per accorgersi che il vocalist del gruppo predilige maggiormente le timbriche gutturali. Anche i riff di chitarra sono molto puliti e diretti. Ciò che invece stupisce è l’inumano vigore del basso di Setvik. La devastante "Curse The Souls", una mazzata di rara potenza o "The River’s Rage", con le sue ottime parti melodiche o la conclusiva "Ouroboros", una mesta chiusura per un viaggio allucinante privo di sogni. Per concludere posso solo dire che sarebbe il caso di consigliare ai nostri di ricordarsi le loro origini e di inserire nel loro sound qualche leggerissima venatura black.
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