PALLBEARER: Forgotten Days
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30/12/2020Acclamati da critica e pubblico, sono riusciti ad ottenere due copertine dalla rivista Decibel, articoli a ripetizione su Rolling Stone e persino il New York Times si è scomodato per occuparsi di loro dopo la pubblicazione di ‘Forgotten Days’, con il quale completano il poker di pubblicazioni in oltre due lustri di carriera. Ho scoperto i doomster americani grazie alle magliette indossate da diversi frequentatori del giro metal della capitale, all’indomani dell’uscita di ‘Foundations Of Burden’ targato 2014; mi affascinava il nome della band e la curiosità mi ha spinto all’ascolto di quell’album con un entusiasmo premonitore di qualcosa molto positivo. Entusiasmo più che ripagato da uno degli album più belli in assoluto di quell’anno, per chi scrive. Il relativo tour (http://www.hardsounds.it/live-report/pallbearer-init) non ha fatto altro che amplificare le strepitose impressioni suscitate dal disco e ne è venuta fuori anche un’intervista (http://www.hardsounds.it/interviste/pallbearer). Il successivo ‘Heartless’ mi ha lasciato un pò di amaro in bocca, probabilmente perché le aspettative erano molto alte, ed invece ne venne fuori un disco lagnoso e melenso, nel quale mancava l’esplosività e la pesantezza del predecessore a favore di sonorità che li avvicinavano al grande pubblico. Nell’ultimo lavoro la band si destreggia tra le due anime precedenti, mitigando la malinconia reiterata dei tredici minuti di crescendo e diminuendo di “Silver Wings” (dal finale strappalacrime), con brani rocciosi di grande presa come “Vengeance & Ruination”, “The Quicksand Of Existing” ed il brano che da il titolo all’album nel quale troviamo un richiamo al nostro Paul Chain sia per l’utilizzo dell’eco sulla voce, sia le chitarre in feedback; spunta qualche trovata kraut rock nei giri di tastiera di “Stasis” per chiudere con una simil-ballad come “Caledonia”. Opera che mettera d’accordo fan vecchi e nuovi perché è il compromesso tra l’irruenza dei grandi riff ed un songwriting avvolgente, ricco di pathos e di atmosfere cariche di melodie sognanti e malinconiche con una maggiore propensione verso queste ultime. Appunto finale: copertina peggiore non avrebbero potuto scegliere.
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