MANILLA ROAD: CRYSTAL LOGIC
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23/02/2005Per capire a fondo un disco come "Crystal Logic", uno dei cult albums per eccellenza dell'epic metal, bisogna proiettarsi nell'epoca e nella scena musicale che gli diede la luce: è il 1984, e in America cominciano a risuonare potenti i nomi di bands come Cirith Ungol, Manowar, Omen… e, per l'appunto, Manilla Road. I nostri vengono da un hard rock epicizzato e solenne, ed è proprio grazie a questa fortunatissima release che si guadagneranno il titolo di padrini dell'epic metal insieme alle bands di cui sopra. Già, perché fin dal cupissimo intro, "Crystal Logic" è un disco, (per quanto a tratti immaturo e ancorato al passato della band) completamente ed inequivocabilmente epico, oltre che oscuro e necromantico come solo un disco dei Manilla Road può essere. In questi solchi sono già definite le coordinate di un intero movimento musicale: una produzione spartana che crea un sound sporco, impreciso, ma terribilmente potente, canzoni strutturate in maniera piuttosto semplice e che puntano tutto su un'evocatività sincera e sfrenata, approccio diretto e sanguigno a una materia musicale che ribolle di un'epicità magica e nel contempo brutale, il tutto avvolto dall'oscuro alone sabbathiano che permea ogni lavoro della band del Kansas. Come già detto, siamo di fronte ad un lavoro ancora immaturo, che punta ancora moltissimo sulla forma canzone e lascia ben più che intravedere la presenza delle innegabili influenze sabbathiane: i riff di chitarra, che coniugano l'aggressività dei Judas Priest alla plumbea e funebre atmosfera creata dal Tony Iommi dei tempi migliori, sono uno degli elementi principali del lavoro, suonati da un Mark Shelton già in stato di grazia, al fianco del drumming potente e a tratti tribale di Rick Fisher, e ovviamente della timbrica vocale inusitata e atipica dello stesso Shelton, una voce nasale e inconfondibile, che contribuisce alla creazione di quell'aura "magica" e fantastica di cui brilla il disco. Tra i pezzi ancora hardrockeggianti spicca l'indimenticabile "Necropolis", brano prettamente NWOBHM, veloce e aggressivo, con un intermezzo sorprendentemente epico, e più oscura "The Riddle Master", che richiama vecchie glorie settantiane con la sua cadenza quasi psichedelica, mentre "Feeling Free Again" risulta visibilmente sottotono, mettendo in luce i limiti di una band non ancora in condizioni perfette. I momenti più alti del disco però ci mostrano già chiaramente la strada che prenderanno i Manilla Road nel futuro: la monolitica "Crystal Logic", forte di un ritornello vichingo e di un incedere marziale degno dei migliori Manowar, o la devastante "The Veils of Negative Existence", che alterna paurose strofe doomish a un ritornello vibrante ed ultraepico ("I will never put my sword down...") Ma soprattutto è la lunga composizione conclusiva, "Dreams of Eschaton", a farci rimanere a bocca aperta. Una sinistra profezia di morte per l'umanità messa in musica attraverso un susseguirsi di riff sepolcrali e momenti di sognante, ma sinistra, epicità, che esplode in un finale dove Mark Shelton mostra la sua classe chitarristica regalandoci un'indimenticabile serie di solos in crescendo, per lasciare il posto a un pianoforte assolutamente inquietante… e alle terrificanti urla finali. "Sic Transit Gloria Mundi", recita la conclusione del disco. Ma la gloria dei Manilla Road non potrà essere cancellata tanto facilmente!
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