FEAR FACTORY: OBSOLETE
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24/06/2005Arrivano al concept album anche i Fear Factory dopo il capolavoro “Demanufacture” che li ha consacrati come una delle band più interessanti e d’impatto nel filone del metal futuristico. Un concept album, si diceva, con una storia che potrebbe tranquillamente rappresentare lo scheletro di un ottimo romanzo di fantascienza (è risaputa la passione del singer Burton C. Bell per questo filone della narrativa). Siamo nel 2076 e le macchine costruite dall’uomo hanno acquisito il predominio della società, relegando l’obsoleto essere vivente a elemento secondario; nei bassifondi un gruppo di ribelli trama per cercare di ristabilire la libertà ormai perduta da tempo. Questo a grandi linee il plot, ma nel booklet non mancano raccordi di narrazione che rendono le cose più chiare insieme ai testi stessi; musicalmente lo stile dei Fear Factory è grossomodo rimasto invariato rispetto al disco precedente e basta un attimo per riconoscere il drumming quadrato e robotico di Herrera, il riffing secco e basilare di Cazares e la voce di Burton, che tra i quattro è quello che ha giovato di più dell’esperienza sfoggiando in questa sede dei passaggi di clean vocals veramente da brivido. L’attacco della doppietta iniziale rappresenta un incipit che potrebbe seriamente ledere alle vertebre del vostro collo per potenza ed impatto, ma non pensiate che i quattro pensino solo a pestare ininterrottamente; brani come “Descent”, dall’andamento quasi prog, riescono a spezzare la tensione accumulata nonostante i proiettili sparati dalla band siano rasoiate letali; la seconda parte del disco, che si apre con la ferocissima “Hi-Tech Hate”, non dà un attimo di tregua se non con “Resurrection”, brano che gioca tra pieni e vuoti, tra attacchi violenti e parti più melodiche che si reggono totalmente sulle spalle di Burton, che supera sé stesso nella conclusiva “Timelessness”, base di archi e sample elettronici sulla quale vengono declamate le ultime parole del disco, in un’atmosfera malinconica e futuristica che vi farà sembrare di essere davvero nel 2076 in mezzo ad una strada umida, di notte, con elicotteri che vi svolazzano in testa e declami di propaganda diffusi dai ripetitori. “Obsolete” è quindi un gran disco, nel quale non mancano i brani sottotono, ma dopo “Demanufacture” non si può certo pretendere chissà che. Un bellissimo lavoro, prima del (mezzo) passo falso di “Digimortal”.
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