FEAR FACTORY: ARCHETYPE
data
15/05/2004Archetipo: 1-modello originario, esemplare; 2-struttura originaria che si ritiene rappresenti la progenitrice di un gruppo di strutture. Questa la definizione di archetipo data dal dizionario della lingua italiana; guarda caso il nuovo album dei (rinati) Fear Factory si intitola proprio così, dopo l'abbandono di ciccio Cazares, lo scioglimento (fasullo), e la resurrezione con il buon Christian Olde Wolbers a occuparsi delle parti di chitarra. Dunque, tranquilliziamo tutti, il suono tipico di Cazares non c'è più ma la manina magica di Wolbers non lo fa rimpiangere, anzi, non aspettatevi una band radicalmente cambiata ma, piuttosto, evoluta; non come voleva esserlo in "Obsolete" o in "Digimortal", ma meglio, molto meglio. Come ho letto da qualche parte, in casi come questi i voli pindarici di retorica sono sostanzialmente inutili quindi le cose stanno così: prendete il meglio di "Demanufacture", "Obsolete" e "Digimortal" (magari è poca roba, ma è comunque qualcosa) ed ecco voilà "Archetype". Tra un Burton C. Bell splendente come al solito, un Herrera che si avventura perfino in territori grind (!!) e una produzione finalmente capace di far risaltare le buone capacità del già plurinominato Christian al basso (ve l'ho già detto che alla chitarra se la cava più che egregiamente no?). "Archetype". Un lavoro possente, rifinito, corposo, affilato come un rasoio e distruttivo come un carroarmato, privo di brani realmente sottotono, e che passa dalle devastazioni cyber thrash di "Slave Labor", "Cyberwaste" o "Corporate Cloning" alle melodie eteree e maestose di "Bite The Hand That Bleeds", "Undercurrent" e della title-track, già entrata nella top five dell'anno per quando mi riguarda. La seconda parte del disco, per quanto possa sembrare inferiore, non lo è affatto, ma semplicemente i Fear Factory infilano un pugno di brani, tra cui una strumentale, sempre aggressivi e 'loro' ma distaccati, onirici, difficili da descrivere ma sublimi da ascoltare.
Commenti