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FEAR FACTORY: DIGIMORTAL

data

11/05/2005
72


Genere: Cyber Thrash
Etichetta: Roadrunner
Anno: 2001

Dopo lo strabordante successo (meritatissimo) del masterpiece “Demanufacture” e dell’altrettanto acclamato “Obsolete”, splendido concept album a sfondo fantascientifico, è il turno per i Fear Factory di confermare quanto già fatto di buono nel passato, con “Digimortal”. Roboanti dichiarazioni avevano anticipato la release di quella che sarà, anche se all’epoca nessuno lo immaginava, l’ultima fatica della band californiana con il paffuto chitarrista Dino Cazares: i Fear Factory hanno ‘smussato le imperfezioni’, ‘snellito il sound’ e via di questo passo, affermazioni che non significano un bel niente visto che se c’è una band che ha un suono già di per sé affilato e liscio come l’olio quelli sono prorio Burton C. Bell e soci. Comunque stessero le cose, la curiosità era molta; appena il disco parte con l’opener “What Will Become?” ci si ritrova subito immersi nel classico e spezzato Fear Factory sound, nonostante si percepisca un’atmosfera leggermente diversa, più leggera, sottile e meno opprimente che in passato. Se questo a prima vista potrebbe sembrare un pregio, chi conosce bene la band sa che uno dei loro maggiori punti di forza è proprio la pesantezza; i seguenti pezzi, “Damged”, la title-track, “No One” ed il singolo “Linchpin” confermano la lieve sterzata stilistica pur facendo intravedere una forma canzone abbastanza intrigante, con ritornelli più o meno validi. “Invisibile Wounds (Dark Bodies)” è una sorta di ballad futuristica molto bella (tentativo invece fallito con la conclusiva “(Memory Imprints) Never End”, troppo scialba o smorzata), mentre altri due pezzi che meritano senza dubbio di essere citati sono la violentissima “Acres Of Skin”, non lontana da “Obsolete”, e “Back The Fuck Up”, brano che vede la partecipazione di B.Real per quello che è un vero e proprio manuale del rap metal; senza dubbio un brano che tutti i ragazzini in braghe xxl dovrebbero tenere presente ben prima di Linkin Park e compagnia assortita. Nonostante le indubbie qualità dei pezzi, “Digimortal” fa invero presagire una pericolosa discesa nei territori del nu metal tanto in voga all’epoca (non a caso anche i Machine Head, nello stesso periodo, partoriscono “The Burning Red” e “Supercharger”); il risultato, pur buono, non è dei più sinceri e mostra la corda in più di un’occasione. Sembra quasi che i Fear Factory abbiano voluto rincorrere, invano, la corrente alternativa dell’epoca invidiosi del successo totalmente immeritato di giovanissime band che riciciclavano i riff di “Demanufacture”. Una coerenza di intenti, invece, sarebbe stata probabilmente l’arma migliore, fermo restando che “Digimortal” è un disco sufficiente, lontano dagli standard qualitativi dei quattro ma comunque da ascoltare almeno una volta.

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