DARKTHRONE: Eternal Hails...
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03/08/2021Il black metal sta rivivendo in questi anni, come molti altri sottogeneri, un periodo molto florido. Le numerosissime proposte, sparse per tutto il globo, donano a questo genere il giusto tributo che merita per aver portato tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, una ventata di violenza che andava oltre ciò che il metal aveva portato sino a quel momento. Il senso di oscurità e glacialità che riusciva e riesce a trasmettere attraverso il suo sound grezzo, viscerale senza la necessità di grandi produzioni o di inutili orpelli, perlomeno all’inizio del movimento, ma solo grazie all’estrema passione per questa musica, è un’idea che affascina moltissimo. Quando poi ci troviamo davanti a dei capisaldi del genere come i Darkthrone non possiamo far altro che toglierci il cappello. Il duo più longevo e particolare del metallo nero approda al suo diciannovesimo album ‘Eternal Hails……’ sempre sotto l’egida di Peaceville Records. Fenriz e Nocturno Culto ci hanno abituati, almeno da ‘The Underground Resistance’ (album che apprezzai molto) ad un approccio molto meno furioso e più orientato ad un metal che prende spunto dalla vecchia scuola anni Ottanta e Settanta, intrisa di doom e speed metal come Black Sabbath, Candlemass e le sonorità più viking dei Bathory; la linea compositiva su questo nuovo full-length non vira di molto dalle ultime idee proposte su ‘Old Star’ o ‘Arctic Thunder’. Le novità proposte sono fondamentalmente due: un minor numero di brani dall’ampio respiro, infatti abbiamo cinque brani per una lunghezza totale di quarantadue minuti, e la registrazione in uno studio professionale, lo Chaka Khan di Oslo, cosa quasi inedita per la formazione norvegese. La durata prolungata dei brani dona un’aura quasi progressive al tutto senza mai distaccarsi però dallo spirito grezzo e glaciale della band. I brani sono sicuramente più oscuri rispetto ad ‘Arctic Thunder’ e con un riffing più doom in confronto al precedente ‘Old Star’. La sabbathiana “Hate Clock” è sicuramente la canzone che mi è rimasta più impressa, il suo incedere cadenzato e le variazioni d’atmosfera fanno quasi pensare che sia stato scritto più di quarant’anni fa, mentre il brano più ambizioso è, a mio avviso, la conclusiva “Lost Arcane City Of Uppakra” corredata di un malinconico synth in chiusura. Un lavoro composto ed eseguito alla vecchia maniera, in puro stile Darkthrone, tutto cuore e metallo nero, forse leggermente sotto rispetto ai suoi due predecessori dal punto di vista compositivo ma comunque un ottimo album ricco di energia grezza, sporca e gelida.
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