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BATHORY: HAMMERHEART

data

18/02/2004
100


Genere: Epic Metal
Etichetta: Black Mark
Anno: 1989

"A furore normannorum libera nos domine,…" E' la celebre preghiera medievale che adorna l'interno del booklet di "Hammerheart", sulla cui copertina figura uno splendido dipinto di Frank Dicksee, raffigurante un funerale vichingo. Quorthon non avrebbe potuto essere più chiaro e sincero nell'anticipare il contenuto del primo episodio epico a tutto tondo firmato Bathory a vedere la pubblicazione ("Blood On Ice" era già stato creato, anche se il nostro eroe lo teneva ancora nel cassetto): il Cuore di Martello batte possente nelle note di questo disco, come se la gloria degli dèi del Nord tornasse prepotentemente in vita grazie alle composizioni del geniaccio svedese. E' con 3 minuti di arpeggi e vocalizzi che si apre l'ultra-epica "Shores In Flames", che poi esplode in una monumentale serie di riff ampi, glaciali e pesantissimi, ma al contempo evocativi e "antichi", capaci di evocare panorami incontaminati, montagne altissime e gloriose gesta di guerrieri. A sconvolgere subito l'ascoltatore, la voce di Quorthon, che abbandona quasi del tutto lo screaming per creare un unico e irripetuto stile, sgraziato, privo di tecnica e che a volte sconfina persino nella stonatura, ma passionale oltre ogni limite, un vero grido di battaglia, capace però di trasformarsi all'occorrenza in pianto di disperazione o umile invocazione agli Dèi. A contribuire a rendere unico il sound di questo disco è anche il lavoro compiuto dagli Heavenshore Studios (ovvero il garage affittato dai Bathory per la registrazione dei loro dischi): la registrazione immediata e approssimativa rende il tutto un autentico manifesto di immediatezza musicale, senza la minima cura per i dettagli, che avrebbe probabilmente rischiato di sminuire questo pezzo d'arte, troppo grandioso per smussarne gli angoli. L'epicità del disco non è però lineare o prevedibile: in tutte le sette tracce traspare un senso di malinconia, quando non addirittura di disperazione, quasi una nostalgia del tempo andato, o meglio un duro confronto tra la luminosità di alate leggenda e il cupo materialismo della realtà. Nessun brano in "Hammerheart", tranne forse la corale "Baptised In Fire And Ice", è esente da questo strano senso di depressione, che forse costituisce l'elemento più particolare dell'opera, e la rende sì difficile da assimilare, ma impossibile da dimenticare. E' nel connubio epicità - disperazione che Quorthon dà infatti il meglio, fino a raggiungere l'apice assoluto del disco, e forse dell'intera discografia dei Bathory, in chiusura: "One Rode To Asa Bay". Forse occorrerebbe una pagina intera per descrivere quanto si può trovare in questa canzone, che in dieci minuti ci mette davanti alla dissoluzione del mondo vichingo ad opera dei missionari cristiani. E' difficile immaginare cosa si può provare contemplando inermi la disfatta del proprio popolo ma, vuoi per le splendide e poetiche lyrics, vuoi per l'irresistibile carica evocativa, "One Rode To Asa Bay" può veramente evocare la tragedia di queste sensazioni. Il tramonto della gloria passata, che contemporaneamente ne celebra la grandezza e ne piange la scomparsa. "Hammerheart" è un disco straordinario proprio per questo suo porsi "in mezzo" a due anime della stessa arte: la grandeur epic da una parte, e l'estremismo black dall'altra, in pratica il doveroso compimento di "Blood Fire Death", che però pendeva ancora molto di più dal versante estremo. E con questa precedente release, "Hammerheart" costituisce probabilmente il punto più alto dell'incredibile carriera della band svedese. Possa non venir mai dimenticato.

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