TREMATE, MORALISTI: Riflessioni sul "costo" della musica
Sì, tutti tutti, ma proprio tutti. Noi, voi che leggete, quelli lì che suonano e quegli altri che ci mandano i file con voi che suonate: siamo tutti prezzolati. Perché questi pensieri? In questi giorni gira in rete un nuovo social per musicisti in cui tra le altre cose, iscrivendosi, c'è anche la possibilità di farsi videorecensire il disco da alcuni artisti noti della scena italiana. Fin qui tutto bene, sembra uno strumento di promozione come un altro. Ecco, a qualcuno è venuto in mente di diffondere degli screenshot con i prezzi da pagare affinché tali frontman e frontwoman possano parlare di voi e del vostro dischetto e si è scatenato un putiferio, ovviamente tutti i commentatori sostengono che sia una cosa immonda, immorale, vergognosa, il cancro della musica e tanto altro.
Ma siamo sicuri che sia così? Siamo sicuri che il sito trve con la grafica del sito anni Novanta che recensisce solo cassettine pubblicate in quattordici copie numerate col sangue del batterista del gruppo sia sempre da preferire alla carta stampata, o a questi social network settoriali che si diffondono sempre più? Dipende da cosa intendete con recensione, e da cosa intendete per prezzo. Non ho peli sulla lingua, non ne abbiamo su Hardsounds.it e lo sanno alcuni gruppi che ci hanno accusato di essere dei falliti per aver espresso il nostro pensiero opinabile e minoritario su alcuni album giudicati rivoluzionari dai cugini dei membri della band e altri amichetti. Ma non divaghiamo. Scrivo recensioni da diversi anni, inizialmente per far sentire la mia voce (proprio qui su Hardsounds.it avevano stroncato 'Diatribes' dei Napalm Death, e io volevo dire che a me piaceva tantissimo), poi per sentire la voce di altri rispetto all'oggetto della recensione e rispetto alla recensione stessa, infine l'interazione con i gruppi con commenti e interviste. Qualche volta arrivava il disco originale, ma oramai si diffondono solo mp3 o streaming, alquanto difficoltoso se sono nel cu...ore della Basilicata, e quindi devo arrangiarmi con connessioni terrificanti. Come li chiamate voi se non prezzo, ossia il corrispettivo per il mio operato? Io do (un testo), io ricevo (Tizio mi scrive una mail dicendomi "grazie per aver parlato di noi" o in alternativa "non capisci un cazzo di musica, ritirati").
Ci avete fatto caso? Non ho parlato di lavoro, non lo vedo come tale, potrei smettere anche di scrivere ora e questo testo non vedrebbe mai la luce. Eppure, nonostante io lo faccia per soddisfazioni che definire piccole è anche un eufemismo, è comunque una sorta di prezzo. Chiamiamolo motivo, chiamiamola spinta per la scrittura, eppure senza di quello non andrei avanti, scriverei le mie schifosissime recensioni sul diario e me lo terrei in un cassetto. Evidentemente a qualcuno non basta tutto ciò, soprattutto se si è deciso di farne la propria vita (e qui allargo il discorso anche ai disegnatori, ai grafici e ai roadie). Il musicista gode nel bagno di folla, ma poi se il gestore del locale non paga allora sono cazzi amari, perché quella è la sua vita, non c'è mamma che ti fa avere la paghetta ogni settimana.
Perché per chi parla di musica non dovrebbe valere lo stesso? C'è chi lo fa per promozione, e sono gli stessi uffici stampa e organizzatori di concerti cui gli stessi gruppi si rivolgono. E li pagano mi pare, o no? In quel campo non bisogna essere imparziali, è vero. Perché demonizzare chi ha deciso di impiegare del denaro in questo modo? C'è chi si stampa il vinile e chi si promuove attraverso canali vari, tra web tradizionale, le radio e tanto altro. C'è chi si trova in una posizione intermedia, tra la promozione e la critica, ed è il caso di queste videorecensioni da parte di vip del rock italiano. Ammettiamo che è particolarmente scivoloso il terreno, come quando sulla pagina di ricerca di Google hai i risultati più corretti e quelli che stanno in alto e hanno visibilità perché hanno pagato. La missione dovrebbe essere quella di riuscire a tenere ben distinti gli aspetti, sia per chi legge, sia per chi crea tali prodotti. Ma ciò non toglie che se quel musicista mi chiede dei soldi per parlare di me, è liberissimo di farlo. Si fa pagare per le sue prestazioni al microfono, lo fa anche per quelle critiche. Non dimentichiamo che anche il più scalcagnato grinder del pianeta se registra un disco vuole avere qualcosa in cambio, che sia notorietà o denaro o che altro, altro che paladini della moralità. Resta ovviamente da verificare se il sistema andrà avanti così o se imploderà rumorosamente, perché - tornando all'esempio che ha dato vita a queste righe - se un gruppo fa cagare può consigliarlo anche il Papa in persona, ma continuerà a farlo... E poi le persone a cui si rivolge terranno ben presente che il Papa non capisce una mazza di musica.
Aggiornamento pomeridiano del 22 gennaio. Alcuni artisti hanno interrotto la collaborazione con questo social (che non cito nemmeno perché udite udite... non piace neanche a me come metodo e tuttavia non spalo merda senza motivo), ed escono fuori tante riflessioni, tra cui questa del chitarrista degli Opera IX che mi pare in linea con quanto scritto fino ad ora.
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