VIRGIN STEELE: The Black Light Bacchanalia
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11/11/2010La cocente delusione provata nel corso dei primi ascolti del nuovo album della band di DeFeis è ormai sedimentata in una certezza: più di un flop, 'The Black Light Bacchanalia' è proprio il proseguimento di una nuova fase della lunga e gloriosa carriera dei Virgin Steele. Una band che in tanti anni ha provato sulla propria pelle le luci e le ombre del music business, attraversando fulgidi momenti di meritata celebrità, alternandoli a vere ecatombe compositive che, giustamente, li hanno alienati dalle simpatie anche dei fedelissimi: è questo il caso. Secondo capitolo della Lilith Saga, iniziata quattro anni fa con il fiacco 'Vision Of Eden', composto da undici brani per lo più lunghissimi (in linea con quanto fatto nel precedente lavoro appena citato) per un totale che sfiora gli ottanta minuti, 'The Black Light Bacchanalia' assorbe gli errori fatti in precedenza e, se possibile, li amplifica ulteriormente. Una batteria prodotta nemmeno ai livelli di una drum machine (e colpevolmente suonata da Gilchriest grosso modo in quella maniera), un lavoro al basso certamente di alta caratura se non fosse stato seppellito dalle tastiere e dalle voci, un suono di chitarra fatto passare dal mix della tastiera e che, in fase solista, emerge solo a tratti (per altro molto belli) a favore delle tastiere meno orchestrali mai sentite in un album dei Virgin Steele. Ma tutto questo è forse motivato da un ego smisurato del polistrumentista, compositore e producer italoamericano per il suono della propria voce? Ascoltando, anche distrattamente (l’attenzione è merce rara di fronte ad album noiosi come questi), la maggior parte delle suite presenti parrebbe semmai il contrario: la voce carismatica del "Lion In Winter" che graffia come un animale agonizzante, i cori anemici e quasi “soffiati” per una sequela di melodie già sentite e che avrebbero necessitato almeno di un’interpretazione ai livelli dell’indimenticabile ‘Invictus’. Potremmo limitare i danni, andando a setacciare per voi le pochissime pepite che l’elefantiaco lavoro della band ha incorporate nonostante tutto (a partire dalla solita cura di DeFeis per la confezione di ogni suo album), ma non ne vale davvero la pena perché ci dimenticheremo in fretta di 'The Black Light Bacchanalia'. Lo faremo per preservare in noi il ricordo di una band che, a cavallo dell’inizio del nuovo millennio, ha regalato al metal il triplo 'The House Of Atreus' imprimendo a fuoco nelle nostre menti e nei nostri cuori il valore assoluto del multiforme talento di David DeFeis.
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