TEN: SPELLBOUND
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25/08/2004Spinto dalla gran voglia procuratami dal relativo topic aperto nel nostro amatissimo Forum, eccomi qui a parlare del capitolo numero quattro in studio dei grandi Ten, intitolato "Spellbound". Sottolineo subito che, nella ormai sostanziosa discografia del combo britannico, considero l'album in questione una delle parti componenti il trio d'oro dei rockers anglosassoni, che vede negli altri due posti la presenza dell'omonimo debutto e del mitico "The Name Of The Rose". Ma la sede di tale recensione riguarda appunto il lavoro del 1999, per cui addentriamoci immediatamente nel succo del discorso. Dopo l'uscita del comunque meritevole "The Robe" (1997) e la successiva prova live del convincente "Never Say Goodbye" (1998), in molti si chiedevano quale sarebbe stata la nuova scelta stilista di mastro Gary Hughes, scatenando numerosi dibattiti, in particolare tra i numerosi fans presenti nelle terre del sol levante. Per cosa si sarebbe optato nel nuovo cd? Per un ritorno alle sonorità tipicamente AOR del debut e del successivo "The Name Of The Rose", oppure per la continuazione delle aperture epico-sinfoniche del successivo "The Robe"? Molte righe furono spese ai tempi dalla stampa specializzata, ma nessuno si sarebbe mai immaginato una svolta come quella poi osata in "Spellbound". Il nuovo arrivato, infatti, continuava in maniera decisa, ed ampliandolo in modo assolutamente convinto, il discorso epico già intravisto all'interno di "The Robe", ottenendo un vero e proprio capolavoro di sonorità medievali e cavalleresche, sempre contraddistinte dall'inconfondibile timbro tipico del supergruppo inglese. Tutto il lavoro è un autentica successione di vere e proprie perle, a partire dalla favolosa strumentale di apertura "March Of The Argonauts", e proseguendo poi con la immensa "Fear The Force", un'autentico gioiello di melodie potenti ma facilmente orecchiabili, destinato a diventare uno dei veri e proprio inni per tutti gli amanti della truppa capitanata da Gary Hughes. E poi ancora la maestosa "Spellbound", la stupenda "We Rule The Night", con il suo stile prettamente legato all'immaginario delle lande cortigiane, la superba "Red", celtica come non mai nel suo vorticoso ed imponente incedere, per concludere con le dolcissime note strappacuori delle sognanti "Wonderland" e "Till The End Of Time". Che altro dire, il 1999 ha visto la pubblicazione di uno dei più grandi punti artistici dei Ten, mettendo in mostra un Gary Hughes al suo massimo splendore compositivo ed esecutivo, supportato da dei compagni di avventura assolutamente di prim'ordine, primo tra tutti l'ormai dipartito Vinny Burns, il vero e proprio simbolo di ciò che ha significato essere uno degli axeman del gruppo durante i favolosi anni della propria affermazione musicale. Questo è uno dei lavori che ha dato senso alla mia vita di redattore, musicista e semplice appassionato, impreziosito tra le altre cose dal fantastico artwork a cura del bravissimo disegnatore fantasy Luis Royo, perfetto a renderlo davvero speciale in tutte le sue parti. Per questo e per mille altri motivi non mi sembra il caso di dispensare nessun ovvio e scontato consiglio, penso siate abbastanza grandi per capire cosa bisogna fare quando si ha a che fare con un cd di tale immensa e sbalorditiva grandezza.
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