OPETH: WATERSHED
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16/06/2008Nuovo disco ed ennesimo gioiellino da rigirarsi tra le dita al fine di ammirarlo in tutte le sue sfumature di luce (una luce sempre opaca, mai radiosa, come da tradizione). Questo in sintesi 'Watershed', l’ultima release targata Opeth, che riprende quanto lasciato in sospeso con 'Ghost Reveries', dopo la parentesi live di 'The Roundhose Tape'. Da registrare innanzi tutto la fuoriuscita dalla band di Peter Lindgren, il cui posto alla chitarra è stato preso da Fredrik Åkesson, e del drummer Martin Lopez, sostituito da Martin Axenrot: una piccola rivoluzione se si pensa a tutti gli anni trascorsi dai due musicisti all’interno del combo svedese. Un cambiamento che in ogni caso, vista la consistenza del nuovo lavoro, sembra proprio essere stato assimilato nel migliore dei modi senza contraccolpi negativi. Poco o nulla invece viene a modificarsi dal punto di vista compositivo: gli Opeth continuano nella loro evoluzione, staccandosi sempre più dal death metal (una componente presente ancora, ma non più come in passato) e puntando maggiormente su suggestioni acustiche che spaziano dal prog rock al blues. Di pari passo lo stesso Åkerfeldt lascia al proprio possente growling un ruolo quasi marginale (ma quando c’è, come in "Hessian Peel" o " Heir Apparent ", si sente eccome), indirizzando i propri sforzi verso un’interpretazione più sofferta e delicata. Se apprezzate i più recenti sviluppi della band, allora questo nuovo lavoro non potrà non piacervi; se invece sognate un cambio di rotta che riporti Åkerfeldt e soci sui binari seguiti a metà anni novanta, potreste non vedere mai realizzate le vostre aspettative: gli Opeth sono capaci solo di guardare in avanti. Se poi i frutti di questo continuo progresso assumono le sembianze diafane ed ammalianti di "Burden" o "Hex Omega", per me va benissimo così. Non chiedo di meglio.
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