OPETH: MY ARMS YOUR HEARSE
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07/04/2004Questo è uno dei tipici lavori per cui mi verrebbe voglia di consegnare come recensione una pagina vuota, tanto inutile risulterebbe il tentativo di spiegare con mere parole la profondità e la complessità di un’opera d’arte così armoniosamente cupa. Provando ugualmente a sviscerare attraverso una breve analisi la terza fatica della prolifica band svedese, non possiamo non cominciare dal titolo dell’album, “le mie braccia, il tuo carro funebre”. Ancor prima di cominciare a suonare, la band riesce con un titolo così emblematico ad evocare gli universi più grigi, i pensieri più bui, le lacrime più amare. Per non parlare dell’immagine di copertina, perfetta con i suoi toni morti nell’abbracciare il senso di sconforto che prende vita sugli spartiti di Akerfeldt. La narrazione scorre vorticosamente, spaziando da riflessioni soffuse ad esplosioni di sontuoso death metal che a volte lasciano il campo ad accenni di un black tormentato e sinistro, simile per certi versi a quello glaciale proposto dagli Immortal in “Battles In The North”, tanto penetrante è il gelo che stritola il cuore dell’ascoltatore (a tal proposito ascoltate “April Ethereal”). Ed è proprio questo il bello degli Opeth: l’inclassificabilità assoluta della loro musica, capace di conglobare in uno stesso brano la ferocia del death più nichilista con ambientazioni prog dark da sindrome di Stendhal musicale! E come se non bastasse il risultato complessivo è di una compattezza disarmante, come se far convivere elementi così distanti fra loro sia la cosa più naturale di questo mondo. Difficile indicare il brano migliore di questo masterpiece; potrebbe essere la variopinta “Demon Of The Fall”, con i suoi mille cambi di scenario, oppure la già citata “April Ethereal”, oppure ancora la conclusiva “Epilogue”, morbido affresco strumentale che chiude nel migliore dei modi un album che all’epoca è quasi passato inosservato, salvo poi rivelarsi uno dei lavori più meritevoli degli anni novanta.
Awake
01/07/2018, 23:57
Molto bella la recensione, peccato per la brevità. Album di una classe senza eguali.