OPETH: DELIVERANCE
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21/05/2006“Deliverance”, sesta fatica targata Opeth, è a mio modo di vedere il lavoro della band scandinava al quale è più difficoltoso avvicinarsi, se non altro per il fatto che, escludendo la breve strumentale “For Absent Friends”, la durata dei brani supera sempre i dieci minuti. Åkerfeldt e soci nel corso degli anni precedenti ci avevano comunque abituato a canzoni di una certa lunghezza, ma in questo caso, la struttura di ogni brano risulta oltremodo intricata: la forma canzone viene spazzata via da una vena espressiva che non si riesce ad imprigionare in nessuno schema predefinito. È questo dunque l’album formalmente più estremo degli svedesi, che va di pari passo col successivo acustico “Damnation”, di contro, la loro release più soft. Non a caso i due dischi in questione sono usciti a breve distanza l’uno dall’altro (neanche un anno), ma avrebbero potuto/dovuto uscire contemporaneamente, perché l’idea era proprio quella di mostrare al pubblico le due differenti (ma complementari) anime del quartetto scandinavo. Un album difficile da assimilare, a cominciare da quella “Deliverance” multiforme che lascia l’ascoltatore in balia di una serie di attacchi violenti che si susseguono a ripetizione, per un tormento che sembra non avere mai fine. Merito anche del growling di Mikael Åkerfeldt, che qui si esprime con una brutalità ancora sconosciuta a questi livelli. Ben inteso, anche in questo lavoro non mancano momenti più riflessivi, come nella camaleontica “Master’s Apprentices”, ma è con l’aggressività che la band riesce qui a raccogliere i risultati più apprezzabili. I fan possono ritenersi soddisfatti di un prodotto come “Deliverance”, ma chi non ha mai sentito parlare degli Opeth non può certo cominciare ad ascoltarli da questo album: il rischio è quello di restarne sconvolti.
Awake
29/09/2019, 11:04
Guarda caso ho iniziato ad ascoltarli proprio da questo, ed è stato amore a prima vista...