H.E.A.T.: Into the Great Unknow
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11/09/2017Finalmente ritornano gli H.e.a.t., forti anche del rientro in formazione di Dave Dalone, presentandoci un bellissimo artwork futuristico, facendo crescere ancora più la voglia di inserire il cd nel lettore pronti per questa nuova avventura musicale. Parte subito “Bastard Of Society”, pezzo non male, giusta come opener, anche se mi aspettavo qualcosa di più; la seconda traccia “Redifined” è praticamente “Take Cover” dei Mr. Big, ma più moderna (vi assicuro che se non è plagio quasi ci manca). Spero che le killer song arrivino quanto prima. Proseguo con “Shit City”, ma il refrain non mi pare un granchè, ed arrivo alla traccia quattro quando mi si presenta quasi un brano dance. Uhm, ma sono gli H.e.a.t. che conosco io? Salto alla traccia successiva dove trovo un altro pezzo simil-dance e quasi non ci credo. Da qui in poi il disco si risolleva un poco con pezzi dai bei chorus e molto più curati dei precedenti, e brani come “Eye of The Storm”, ”Blind Leads The Blind” non sfigureranno nella discografia H.e.a.t. era Gronwall, ma troppo poco veramente per avvicinarsi anche lontanamente alla sufficienza. Tirando le somme dopo aver ascoltato varie volte questo disco, sicuramente ci troviamo di fronte ad un grosso scivolone da parte degli svedesi che sembrano proporci quanto ci hanno proposto i Bon Jovi con gli ultimi dischi, se non peggio. Non so cosa sia potuto accadere (ordini dall’alto?), resta il fatto che i pezzi su questo disco latitano clamorosamente. Scordiamoci intanto i primi H.e.a.t., qui si parla di un’involuzione rispetto anche all’ulltimo album. Un flop clamoroso.
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