DAWN OF WINTER: Pray For Doom
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02/12/2018Ammetto che quando mi sono visto recapitare questo disco nulla sapevo riguardo questa band tedesca attiva già dai primi anni novanta e con alle spalle una serie di uscite discografiche tra demo, EP e full-length. La compagine teutonica si colloca all'interno di quel filone che ricomprende tutte quelle band dedite al doom nella sua incarnazione più pura e classica, ben poco rimaneggiata e contaminata da sonorità più vicine alla frangia più estrema del metal. Eppure dati i senza dubbio buoni propositi, qualcosa non convince fino in fondo. La prima traccia, probabilmente la migliore del platter, ci indica da subito la strada intrapresa dai nostri; un doom marziale ammantato una spessa aura di solennità, una piacevole voce pulita che da pieno sfoggio di se in un chorus evocativo spiccando su una base ritmica lenta, trascinante, vicina senz'altro allo stile dei Candlemass per la sua epicità. Già la seconda traccia "The Thirteenth Of November" risulta però troppo simile alla prima ma allo stesso tempo meno incisiva, non potendo contare su un chorus trascinante come la precedente, anche se si sforza di essere più epica lasciandoci però la sensazione di un lavoro compiuto solo a metà cui manca qualcosa e che ci lascia ben lungi dall'essere appagati. "Woodstock Child" procede stilisticamente come le altre, senza sorprese anche se risulta più melodica e dal refrain più "cantabile". Una ventata di parziale novità è portata solo da "Pray For Doom", introdotta da un arpeggio acustico e con una struttura che segue gli stilemi della ballad con reminiscenze ottantiane, quantomeno nelle battute iniziali, per poi ripiombare nel già sentito con una struttura molto simile alla prima "A Dream Within A Dream" ma con un refrain un po' troppo scialbo e scarico. Dopo una "The Orchestra Bizarre" trascurabile e che suona un po' come filler all'interno del disco, che non fa presa ma anzi rappresenta il punto più debole dell'intero disco, si ritorna al doom lento e claustrofobico di "Paralysed By Sleep" che riporta il disco ai livelli dei brani precedenti e se non fa fare il salto di qualità ad un lavoro che pare un po' piatto e stanco, almeno non ne fa abbassare la media. L'epilogo è affidato alle note di "Father Winter" che segue l'andamento solenne di una marcia funebre lenta e scandita dalla durata (forse eccessiva) di ben dieci minuti entro i quali nulla di particolare accade ancora una volta. La sensazione che ci lascia questo disco è sicuramente di inappagamento; pezzi troppo ripetitivi e uguali tra loro, strutture scarne prive di arrangiamenti di sorta e parti solistiche timide e anch'esse troppo elementari che ci danno l'impressione di trovarci dinanzi ad un disco d'esordio di una band giovane che muove il primo passo in un settore che negli anni si è arricchito sempre più di band che hanno saputo partorire dischi di alta qualità. Encomiabile il proposito di portare avanti la tradizione del doom più classico, ma decisamente da rivedere le modalità.
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