ARCH ENEMY: DOOMSDAY MACHINE
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29/08/2005Che dopo la separazione dal singer Johan Liiva gli Arch Enemy siano entrati in una nuova fase della loro carriera, complice l’ingresso dell’ugola cartavetro di Angela Gossow, è ormai più che palese. Non più swedish thrash/death di razza quindi, ma un heavy metal che si rifà totalmente alle sonorità più classiche e all’hard rock nel quale l’unico punto di contatto con l’estremo restano le vocals della bionda singer e rade puntatine nel tipico thrash sound svedese. “Doomsday Machine” segue l’ottimo “Anthems Of Rebellion” di due anni fa, platter già decisamente superiore al precedente “Wages Of Sin” (più che altro una sorta di rodaggio) e porta con sé una moltitudine di aspettative, deludendone per fortuna un paio al massimo. Partendo proprio dalle bad news, si segnala un performance decisamente poco incisiva della bionda Angela che se in “Anthems” faceva ben sperare in un’evoluzione Walkeriana, qui si limita allo stretto necessario se si esclude qualche fugace passaggio più ispirato. Tolto il dente cariato, “Doomsday Machine” è senz’altro il disco più maturo della, chiamiamola così, ‘nuova era’; a farlo da padrone sono tecnica e melodia appaiate. Assoli a profusione, decisamente più numerosi di un tempo, drumming tentacolare di un Erlandsson mai così ispirato (e che soddisfazione scoprire ad ogni ascolto una nota o un passaggio di doppia cassa in precedenza sfuggito…) asserviti alla perfezione a melodie e strofe ficcanti e penetranti come un trapano nuovo di zecca. Del resto, non è da tutti sfoderare un ritornello della madonna su una frase banale, pacchiana a da derisione eterna come ‘One for all, all for one, we are strong, we are one’, cfr. il singolo “Nemesis”. Non è da tutti infilare due brani rallentatissimi uno dietro l’altro e farti muovere la testa per tutta la rispettiva durata, cfr. “My Apocalypse” e la magnifica “Carry The Cross”. Ci sarebbe molto altro da dire rendendomi conto che, dopo una cinquantina o forse più di ascolti, ogni brano ha un posto ben preciso nella mia mente. Strumentali da antologia (l’opener “Enter The Machine” e “Hybrids Of Steel”), corse folli verso l’annientamento (“I Am Legend / Out For Blood”, “Machtkampf”)… ecco, forse è questo che affascina di più in “Doomsday Machine”; è un disco che riesce quasi a deluderti nel primo paio di ascolti per poi entrarti sottopelle come una dose di eroina e renderti dipendente.
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