David E. Gehlke : PARADISE LOST – No Celebration
La biografia dei Paradise Lost scivola via come una birra fresca in una torrida giornata d’estate. L’autore David E. Gehlke ha colto nel segno con una scrittura semplice e scorrevole, riuscendo nell’impresa di toccare tutti gli argomenti che un qualsiasi fan di una band vuole conoscere; dagli esordi in quel di Halifax (Nord Inghilterra) sotto l’egida della locale Peaceville Records che pubblicò i primi due lavori della band, il passaggio al management della Northern Music di Andy Farrow che curò tutti gli interessi commerciali e di immagine della band permettendo ai membri di concentrarsi solo sulla musica senza dover trovare un lavoro per guadagnarsi da vivere, l’ascesa fino ad essere headliner nei maggiori festival metal internazionali al traumatico tour americano che li avrebbe tenuti lontani dai territori a stelle e strisce per 15 anni a venire, il passaggio non fortunato sotto l’egida major EMI – GUN/BMG della svolta elettronica ‘Host’ – ‘Believe In Nothing’ (peggior disco mai realizzato a detta della band) – ‘Symbol Of Life’ per il quale Greg Mackintosh ha dichiarato di essersi fatto influenzare dai Red Lorry Yellow Lorry di “Talkabout The Weather” (per chi scrive imprescindibile influenza e spartiacque per l’approccio alla parte oscura della musica nella propria gioventù). Il passaggio alla Century Media, corrisposto al ritorno al sound di inizio carriera, quel gothic doom/death che insieme ai My Dying Bride e Anathema li ha fatti conoscere in tutto il mondo come alfieri e precursori del genere. La meticolosa cura nella scelta delle cover dei vari dischi, le collaborazioni con i vari produttori tra i quali Rhys Fulber dei Front Line Assembly che ha messo le mani sul trittico: ‘Symbol Of Life’ – ‘Paradise Lost’ - ‘In Requiem’; la grana del batterista, unico membro ad essere stato cambiato più volte per varie vicissitudini che vi lascio scoprire durante la lettura, le beghe familiari ed i problemi personali dei due mastermind. I progetti collaterali di Nick Holmes nei Bloodbath e Greg Mackintosh con i suoi Vallenfyre tramite i quali hanno dato sfogo alle passioni giovanili che altrimenti non avrebbero trovato spazio nella band madre. Chi scrive ha avuto il piacere di vedere ben quattro volte gli albionici dal vivo e non ho dimenticato le stecche prese da Nick Holmes nel tour di ‘Draconian Times’, la reazione di mia moglie che divenne una loro fan grazie ai dischi del periodo elettronico: dopo averli visti nel 2009 durante il tour di ‘Faith Divide Us – Death Unite Us’ in cui Holmes si presento sul palco quasi afono, non ha mai più voluto ascoltare nulla degli albionici. Band imprescindibile, biografia ineludibile e piena zeppa di aneddoti dall'ascesa all'olimpo delle band metal, alla caduta rovinosa, fino a risorgere dalle proprie ceneri.
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