VINCENT, PHIL: LIFE IS A GAME
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21/04/2006E' trascorso solo un anno dalla pubblicazione di "Rising", ed ecco tornare il rocker americano Phil Vincent con il suo secondo capitolo in studio, intitolato "Life Is A Game". Composto da quindici brani che vanno a ricalcare in buona parte lo stile intravisto nel debut, il cd ivi in esame dimostra però di possedere un standard sonoro la cui qualità è leggermente inferiore a quella del suo predecessore, cosa che nel complesso mina in parte alla riuscita finale del cd. Uno dei maggiori punti d'interesse di "Life Is A Game" è invece un songwriting particolarmente scuro e nervoso, elemento che aggiunge un piccolo ed interessante diversivo a quanti si sarebbero aspettati una fotocopia dell'esordio "Rising". Le due tracce di apertura, infatti, mettono bene in evidenza questa nuova caratteristica, la quale lascia però ben presto spazio al Phil Vincent più classico di "Undertow", brano che va a riallineare lo stile tipico dell'artista tra le influenze tinte di Dokken e Foreigner. Lo scorrere delle tracce dell'album ci porta inoltre, grazie alla fantastica "New Tomorrow", a riassaporare i grandi richiami AOR anni ottanta di acts quali Shelter e Jimmy Martin, song bissata in maniera perfetta dal nostalgico incedere di "No One's There". E se al classico e coinvolgente timbro Journeyano di "Don't Leave Me Waiting" risulta davvero difficile resistere, è con la title-track che ritroviamo la parte più graffiante del rocker statunitense, fatta di ritmiche spezzate e chitarre ruspanti. "Life Is A Game" è un album dai notevoli spunti di songwriting, che purtroppo viene limato nel risultato finale da una produzione comunque casereccia, all'interno della quale il sound di batteria risulta spesso poco incisivo e trattato. Un vero e proprio peccato, perché song come la già citata title-track e "Can We Say Goodbye", con una registrazione migliorata, avrebbero potuto diventare dei veri e propri classici della musica a cavallo tra AOR e hard melodico ottantiano.
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