VANDEN PLAS: The Ghost Xperiment – Awakening
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18/10/2019Ho scoperto i Vanden Plas tardi; un chitarrista serbo mio amico si faceva chiamare Iodic, io chiesi cosa volesse dire e lui quasi schifato mi disse: Iodic Rain? No? Vanden Plas? No? E mi fece ascoltare “Scarlet Flower Fields”. Credo di aver passato giorni a premere replay almeno 50 volte di fila. La brutta notizia era che mi stavo perdendo una grande band; quella buona era che avevo ben quattro album da ascoltare tutti insieme. Una goduria vera. Poi uscì 'Christ 0', con quella sua grandezza operistica che ancora oggi mi lascia attonita. E poi c’è da dire che un altro che canta come Andy Kuntz, con la sua stessa enormità interpretativa non è che si trovi così facilmente. E lo si riconosce anche con le orecchie tappate. Ora, confessato che amo molto i Vanden Plas, espletiamo le formalità: questo è un disco Prog Metal! Sì, ci sono i cambi di tempo. Sì, suonano tutti benissimo. Sì, ci sono un bel po’ di splendidi virtuosismi, e sì ci sono solo sei canzoni, ma durano un bel po’. 'The Ghost Xperiment: Awakening' è un concept album, la prima parte di un’opera che si compone di due dischi: 'Illumination', la seconda parte, dovrebbe uscire l’anno prossimo. Segue la direzione teatrale intrapresa con 'Christ 0', e maggiormente sviluppata nei tre album successivi, ma prediligendo un approccio narrativo ancora più granitico, che si rifà più alle esperienze dei Nostri sui palchi teatrali, dove la storia è al centro, e va interpretata con tutta la maestria possibile (e anche un po’ impossibile). Il musicista è anche attore, performer in senso ampio, intrattenitore e incantatore di folle. Intendiamoci, non c’è dubbio che questo sia un disco dei Vanden Plas, non manca nulla, ma questa volta, più che mai, un solo ascolto non basta, ne occorrono parecchi prima di scoprire l’intricato tessuto del racconto in cui veniamo trasportati. Per capirci, ho cercato di ascoltare questo album in macchina, ma mi veniva da accostare in tutti i parcheggi e le piazzole di sosta che trovavo perché cambiare marce ed evitare incidenti mi distraeva e mi perdevo il filo delle canzoni. Ad esempio, l’opener “Cold December Night”, dura poco più di 7 minuti: le prime tre volte ho pensato “Santo cielo questo ritornello è grandioso, proprio in stile Vanden Plas, mi rimarrà in testa per settimane”, poi ho riascoltato e ho pensato che la sezione ritmica di Andreas Lill e Torsten Reichert è perfetta per sostenere un colosso, e poi Gunter Werno quanto mi piace e Stephan Lill con la sua chitarra è il degno rivale di Andy Kuntz sotto i riflettori, e Andy Kuntz, la sua voce è bella quanto i suoi capelli. Dopo qualche ascolto ancora ho accostato per andare a leggere quale fosse la trama perché mi ero convinta che stessero parlando de “Il Canto di Natale” di Dickens (invece no, il concept parla di un esperimento paranormale, ed è ispirato, pare, a una storia vera), e ancora ho sproloquiato da sola chiedendomi il perché del cambio di tono di un incazzato Kuntz verso la fine del pezzo. E via così. Se anche i cinque brani successivi risultano ancora meno commerciali, la struttura prosegue coerente, tanto che un track-by-track tradizionale risulterebbe inutile e riduttivo, come recensire un libro capitolo per capitolo. Ascolto e ripetuti ri-ascolti consigliatissimi, ai vecchi fan, ma anche a chi scopra questo enorme gruppo per la prima volta, così come è successo a me 17 anni fa.
Grazie Iodic, ovunque tu sia.
A cura di Anastasia Romanoff.
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