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CACTUS: Temple Of Blues

data

07/06/2024
90


Genere: Rock, Blues
Etichetta: Cleopatra Records
Distro:
Anno: 2024

Riusciresti a dare un nome ad ogni volto di questa fotografia? Cover dell’ultimo album ‘Temple Of Blues – Incluences & Friends’ dei Cactus. Collaborazioni e amicizie del batterista, e sullo sfondo la band americana nella formazione originale. Il mio primo pensiero va a chi non c’è più, Rusty Day e Tim Bogert. Una celebrazione del loro blues (suggerita dall’etichetta Cleopatra Records) li ha riportati in vita. E due di loro (Jim McCarty e Carmine Appice) mostrano la stessa espressione facciale di 54 anni fa. Un incidente automobilistico negli anni ’70 allontanò Jeff Beck dalla scena musicale e da una possibile collaborazione con gli americani (e barocchi) Vanilla Fudge (Carmine Appice, Tim Bogert, Mark Stein, Vince Martell). Dal loro scioglimento Appice e Bogart formarono il supergruppo Cactus, con il chitarrista di Detroit Jim McCarty ed il cantante del Michingan Rusty Day (Detroit, The Amboy Dukes). I loro primi tre album (Atco Records) hanno scritto le premesse per gli anni a venire di molti musicisti. Tutto questo, prima della ricomparsa di Jeff Beck, con il trio Beck, Bogert & Appice (1973). Definiti come i “Led Zeppelin americani”. Si rivelarono come una naturale evoluzione della band capostipite: nel ’68-’69 gli esordienti Led Zeppelin debuttavano in America come spalla ai Vanilla Fudge; divisero il palco e storie di vita (a proposito si raccontano più anedotti bizzarri). Complicità artistica, sana competizione e ammirazione reciproca, furono collante dorato per i cocci rotti della band “post Vanilla Fudge/pre Cactus”. Band heavy boogie, passionali, ruvidi, istintivi, dalla filosofia Led, sempre riconoscenti alle liriche blues degli anni ’50-’60 (diverse sono le loro interpretazioni di cover), ed una naturale scrittura compositiva che cercava di attualizzare e rendere più pesante il linguaggio blues. Carmine Appice si avvale della collaborazione di numerosi professionisti (amici, attuali membri, e turnisti per la tournée a venire) per riproporre gran parte dei primi tre album. Buona: la scelta delle tracce. Ottima: la scelta di collaborare con il cantante/chitarrista inglese Jim Stapley, dalla voce caratteristica, lodato da molti professionisti (il batterista Kenny Jones, ed il produttore Tony Visconti). N. 14 chitarristi, n. 10 bassisti, n. 1 armonicista, ed un solo batterista, che all’età di 77 anni, incanta per disciplina e per lo spirito di tramandare arte alle nuove generazioni. Impeccabile nell’esecuzione. Nella velocissima “Parchman Farm” la voce di Jim Stapley ricorda l’esordio di Jay Buchanan, Rival Sons (una delle band influenzate, a venire). Billy Sheehan suona in fedele stile Motown. L’armonica rock di Randy Pratt sembra una seconda voce, con una frequenza più alta che nell’originale. Emerge da subito: il profondo rispetto dei vari interpreti! Il ritmo accomodante di “Brother Bill” riporta l’equilibrio mantenendo il groove (basso: Bob Daisley). E l’armonica è sempre più protagonista. La chitarra, da Joe Bonamassa (prima traccia) passa nelle mani di Randy Jackson. Doppia interpretazione di “Guiltless Glider” in questo progetto: la terza traccia, a mio avviso, più potente dell’originale, complice il passaggio di microfono, al chitarrista/cantante Ron “Bumblefoot” Thal; il risultato è quasi metal, con un Appice, che colora di eleganza le pulsazioni. Nella versione di Tim Ripper Owens (traccia bonus) risulta più pulita e melodica (a voi la preferenza). Magistrale la prova di Dee Snider in “Evil”, voce graffiante e nervosa come Rusty Day. Sezione ritmica con Dug Pinnick e chitarra originale, nei suoi 79 anni, Jim McCarty. E il blues che si fa heavy! Senza pietà inizia il side B, con “One Way … Or Another”. Dug Pinnick rimane in pista (basso e voce) e, sulla corsia delle chitarre, si fa strada Ted Nugent. Voce e intensità, suonate alla Hendrix, irribustiscono il pezzo. E’ un continuo passaggio di staffetta (microfono/strumento). Di quello che esegue Appice avrei paura a descriverlo (ha scritto un pezzetto di storia e continua nel suo compito). “Alaska” si trasforma in un duetto. Poi l’atmosfera si placa nel blues fino da “Oleo”: uno dei modi migliori per tramandare la loro sostanza. La voce di Jim Stapley, intrisa di blues e soul, cavalca perfettamente le ruvide ritmiche, imposte da Billy Sheehan e le divagazioni distorte di Steve Stevens. E’ un colpo dritto al cuore “Big Mama Boogie”. Chitarra acustica, un’animalesca armonica, ed un riff elettrico (Pat Travers) mi tengono in tensione, in un dialogo a tre, per quattro minuti. Il trucco dell’arpeggio/armonica, del silenzio, dell’espressione “boogier baby” e del tonfo con assordante basso (di Jimmy Caputo) è sempre un gran espediente esplosivo. Anche “Let Me Swim” sorprende rispetto alla versione originale. “Long Tall Sally” nella voce di Mark Stain (Vanilla Fudge) è un voler chiudere con tutto ciò che era iniziato. Frastornata dal riecheggiare della bellezza dei Cactus, ti ricordo che “Non puoi giudicare guardando la copertina”!

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