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TROUBLE: PSALM 9

data

12/10/2007
90


Genere: Doom
Etichetta: Metal Blade
Anno: 1984

I Trouble si formano nel 1979, ed il loro esordio, nel 1984, intitolato semplicemente 'Trouble' è stato una delle opere più complesse e ispirate del doom metal. In seguito la band intraprenderà nuove strade musicali, e quando nel 1990 rilascerà un altro album eponimo, quello di sei anni prima fu ribattezzato 'Psalm 9'. Solitamente l’analisi del disco si ferma alle tematiche Cristiane e sul fervore dei testi; ma penso che questo punto di vista sia fuorviante e parziale. La cosa interessante piuttosto è vedere come i Trouble vogliano creare nella loro musica una lenta realizzazione di quel senso di assoluto che c’è nel loro messaggio, sicuramente spiritualistico e metafisico, ma anche un messaggio di giustizia (come ad esempio in quel tripudio di chitarre soliste intitolato "Bastards Will Pay", la portata retributiva del messaggio evangelico) e di spietato realismo, reso anche con le pesanti scuri e con l’incedere tagliente e violento di chitarre secche e tozze, pervase da un monolitico e gelido senso di compattezza e pienezza, un unicum che rappresenta l’eternità, l’assoluto e l’unità di Dio, ma che si snoda in soluzioni certamente mai scontate e mai ripetitive, ma sempre ben studiate e sviluppate con una tecnica allo stesso tempo contorta e raffinatissima, che fa da trait d’union tra il rock più austero degli anni '70 e l’heavy metal, attingendo allo stesso modo dalle Sacre Scritture, dal lato più autenticamente passionale dei Led Zeppelin e (soprattutto) dai Black Sabbath, ma senza che le parti di chitarra siano una copia delle grandi intuizioni di Iommi, ma anzi, elaborando uno stile pressocchè unico nel panorama doom, che va dai momenti più solenni ed atmosferici come “The Tempter”, dove la musica si fa invocazione ed il cantato melodrammatico e toccante recita preghiere strazianti e orgogliose, a passaggi puramente thrash che creano all’interno dello stesso pezzo un andamento sinusoidale di alti e bassi, come una specie di cammino progressivo dagli inferi fino all’Empireo e viceversa, passando per la desolata realtà. Questi Trouble sono un viaggio di sofferenza nell’apocalisse dell’esistenza, un processo di ripiegamento interiore nel quale forgiare il proprio spirito, e nel quale ritrovare il filo della tradizione e gli spunti per andare avanti, sicuramente senza abbassare mai il capo, ma fronteggiando la vita con la durezza belligerante di "Assassin", debitrice dei primi Iron Maiden come anche di Rob Halford. Le scosse telluriche ed il trasporto di "Revelation (Life or Death)" inanellano attacchi mortali, un ritmo assassino e dei riff schiacciasassi, nonché la conferma del limite di questo disco: una produzione sicuramente non all’altezza ne del mood della band ne del doom, perché invece di valorizzare gli aspetti più catacombali e oscuri, li confonde, insabbia il basso, e banalizza la resa della batteria, peraltro suonata in modo impeccabile e spietato anche se chiaramente le sue “pennellate” sono sempre molto larghe e non si perdono in sfumature e altre finezze che distraggono dal monolite eterno e inattaccabile di questo suono che predilige le superfici lisce e longilinee, come colonnati di una chiesa da guardare dal basso verso l’alto e lasciare che lo sguardo si disperda nel sublime dell’infinito, che appartiene solo a Dio. N.B. nella ristampa potete trovare come bonus track la cover di "Tales of Brave Ulysses" dei Cream, una scelta che dice non poco e sul background musicale dei musicisti e di quello che sarà del futuro dei Trouble.

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