YNGWIE MALMSTEEN: Blue Lightning
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20/05/2019Qualche giorno fa parlavo con un amico che mi ha detto: “ho ascoltato l’ultimo di Malmsteen. Ammazza che sbrodolata di note buttate a casaccio!”. Ad onor del vero lui non ha proprio detto “casaccio”, ma capirete che mica posso scrivere parolacce. In ogni caso io al mio amico credo, non solo per il suo indubbio gusto musicale, ma anche e soprattutto perché conosco l’eroe lungo-crinito (sono stata sua grande fan fino a “Fire and Ice” del 1992, poi non ce l’ho più fatta), e ho il sogno segreto di scrivere un giorno una recensione di un suo disco senza nemmeno averlo ascoltato, giusto per vedere se qualcuno se ne accorge. Una rapida occhiata alla tracklist mi invita a una riflessione economica: che cosa fa il musicista metal per combattere la crisi?
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Fa uscire un live inutile registrato in provincia di Domodossola
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Fa uscire un live acustico deprimente
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Fa uscire una serie di dischi rimasterizzati praticamente identici alle versioni originali ma prodotti un po’ peggio
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Fa uscire un Best Of con una cover che abbiano fatto tutti, ma proprio tutti
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Fa uscire un disco di cover con qualche inedito dallo spessore artistico di un fazzoletto usato
Malmsteeen sceglie la “E”. Di nuovo; l’aveva già fatto, ricordate nel 2000 'Inspiration'? Ma vediamo, chi è che canta? Jeff Scott Soto? Goran Edman? Joe Lynn Turner??? No. Canta lui. Suona lui. Fa tutto lui. Bene, proviamoci. In ordine sparso, seguendo quello che mi incuriosisce per primo. Inizio con “Smoke On The Water”, che se uno decide di incidere una cover così inutile deve avere in mente qualcosa di strepitoso; e invece il tutto dura all’incirca 12 secondi, con una masturbazione vocale seguita da una masturbazione chitarristica e poi tutto finito. Ti volevo bene, Yngwie, te lo giuro. Adesso proverei “Purple Haze”; ma che dolore questo intro sbrodolante. Un po’ però il buon Yngwie si diverte a blueseggiare con “Demon’s Eye” che suona leggermente meno oppressiva del resto. Questa versione stonata di “Paint it Black” prima mi traghetta a Venezia, poi mi scaraventa in un putrido fiumiciattolo bordo autostrada, e Sua Maestà stona di brutto ed è convinto che nessuno se ne accorga. Ma questi assoli non sono un po’ tutti uguali? La bonus track “Jumping Jack Flash?” Faccio finta che nella mia copia non ci sia. Che mal d testa. “Little Miss Lover” segue la triste sorte delle sorelle “Purple Haze” e “Foxey Lady”, (povero Hendrix, dai…), però quasi salverei la versione di “While My Guitar Gently Weeps”, che pare avere un po’ più di cuore. Ho detto quasi. “Forever Man” di Clapton e “Blue Jeans Blues” (ZZ Top) seguono le sorti di tutte le altre cover, cioè intro chilometrico, cantato discutibile, assolo neoclassico tendente all’infinito e con una concentrazione insondabile di numero di note al secondo. Ma non credo che nessuno si stupisca di questo in questa sede, no? Ed i quattro inediti? In bilico tra un po’ di blues finto-retrò (la title-track e “Sun’s Up Top’s Down”), il classico strumentale da alta velocità (“1911 Strut”), e ”Peace, Please” che mi sembra un rimasuglio di “Rising Force” del lontano’84. Quelli sì, erano bei tempi. In sostanza: Malmsteen è bravo a suonare e suona veloce, questo lo sapevamo tutti. Canta un po’ meno bene e si destreggia tra metal e blues e rock un po’ come gli pare. La scelta delle tracce sembra un po’ una sorta di palcoscenico che il Nostro usa per mostrare al Mondo come quei brani avrebbero dovuto essere scritti secondo lui, ma anche questo non stupisce nessuno. Che lui ci si sia divertito non ho dubbi, mi chiedo però quale sia il tipo di pubblico adatto per apprezzare un disco come questo. A me non è piaciuto. Ma è solo il mio parere…
A cura di Anastasia Romanoff.
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