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THUNDER: ROBERT JOHNSON'S TOMBSTONE

data

15/11/2006
80


Genere: Hard-Rock
Etichetta: Frontiers
Anno: 2006

La premiata coppia Bowes-Morley non si smentisce mai. Ancora una volta i Thunder sfornano un disco eccellente, ed ancora una volta con la consueta classe. "Robert Johnson's Tombstone", titolo assai esplicativo sia in fatto di influenze che da sempre esercitano fascino sul songwriting della band, sia come sorta di celebrazione di un mito del blues la cui vita/morte è ancora avvolta nel mistero, è un manifesto di hard-rock/blues dall'approccio melodico che lascia il cosiddetto segno. Undici brani che esplorano gli umori e quasi l'intero immaginario che investe il panarama del rock duro, ma con l'immancabile marchio di fabbrica: quel piglio decisamente old-fashioned misto a melodie "made in the way of melodic rock". I nostri si ripetono sul piano della qualità, così come stanno sistematicamente facendo da diversi dischi a questa parte, e forse Bowes non si è mai espresso su questi livelli interpretativi seppure non abbia mai dato nessun segno di declino. Sorprendono canzoni come "Don't Wanna Talk About Love", e "Andy Warhol Said", la prima con il classico chorus che ti si stampa nel cervello e lo canti di continuo, la seconda così carica di feeling e di energia tali da dimostrarci quanto i nostri abbiamo ormai raggiunto una maturità compositiva al limite della perfezione. E sorprende un brano come "My Darkest Hour", atipico per il gruppo, solo chitarra acustica e cello che enfatizza la malinconia del testo con ancora una volta Bowes in grande evidenza. "The Evil Made Me Do It" e "What A Beautiful Day", invece, pagano dazio agli AC/DC, ma imboccano la propria strada, per poi perderla e ritrovarla ancora in questa piacevole dicotomia che tributa e si autodefinisce allo stesso tempo. Niente di accademico, tranquilli. Il risultato è di quelli che inducono a mettere su il CD più volte. Non stanca per niente. Il piede che batte il tempo non conosce tregua, tranne, ovvimante, nei momenti di quiete quando il tempo scende e ballad appassionate come "A Million Faces" prendono il sopravvento. Ancora un gran disco, quindi. I cinque inglesi sanno bene come deliziarci. Meglio, sanno bene come divertirsi, e come comporre la musica che da sempre vogliono comporre. Il blues, evidentemente, ahimè, starà vivendo uno dei suoi periodi di peggior offuscamento, ma la vitalità dei Thunder è destinata a campare ancora molto a lungo.

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