STOCKHOLM SYNDROME: HOLY HAPPY HOUR
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17/06/2004La sindrome di Stoccolma, semplicemente e comunemente, è intesa come il comportamento degli ostaggi che tendono a simpatizzare con i propri sequestratori arrivando a considerarli più amici che nemici. Definizione applicabile, ovviamente, a diverse altre occasioni e o tipi di rapporto.
Gli Stockholm Syndrome lasciano un dubbio forte quanto affascinante adottanodo tale monicker: hanno iniziato a suonare una musica a loro non gradita per poi innamorarsene, oppure, come conseguenza, sono psicologicamente condizionati dallo stile musicale che propongono? O cosa? Fatto sta che questo gruppo americano, al suo esordio anche se i membri fanno parte della scena da diversi anni, propone una ottima miscela di rock fortemente influenzato da miriadi di stili e suggestioni. "Holy Happy Hour" è interamente scosso e sorretto dal funk, dalla fusion, dal blues, da una solidissima base rock e da diverse altre sonorità. E se con questo insieme si considera(non in modo secondario) la voce "nera" di Jerry Joseph, otteniamo un plot sonoro ammaliante, conturbante ed a tratti irresistibile, avvolto da spire melodiche che marchiano a fuoco la memoria.
Dodici tracce tutte intrise dei più disparati umori che hanno come estremi l'ironia ed una certa vena malinconico-nostalgica, e tutto quello che passa tra questi due punti. I brani viaggiano languidi, svigoriti, quasi svogliati(tranne che nell'energica ed hardeggiante "Princess Cruise"), ma ritmati e costantemente impreziositi da distorsioni, arrangiamenti curatissimi, brevi assoli ed altri inserti strumentali tutti funzionali all'idea di base che soprintende il disco che, in più di una occasione, lascia affiorare il pulsare inconfondibile del cuore d'America, così debitore anche a Bob Dylan("Tight"), ai Counting Crows più acustici("White Dirt"), e, in genere, ai Pearl Jam più riflessivi. Tutto quadra, tutto è in sintonia, e se la qualità delle song fosse bel oltre la fascia medio-alta, saremmo davanti ad un vero e proprio masterpiece...
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