MOJO JAZZ MOB: ...From Between The Fields
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22/10/2019Se dovessimo definire questo quarto lavoro della compagine teutonica dal curioso moniker probabilmente useremo il binomio "vintage-modern". La proposta musicale offerta dai Mojo Jazz Mob con quest'ultimo LP, '... From Between The Fields', si può definire sostanzialmente stoner rock, anche se non è il classico stoner che riprende i soliti clichè stra-abusati da oltre vent'anni, no. I nostri danno prova di aver imparato bene la lezione impartita dai maestri del passato, ma di averla saputa rielaborare anche in chiave personale creando quel giusto e fresco mix tra sonorità più "vintage", figlie degli anni ottanta e sonorità più "moderne" (per modo di dire) che invece fanno capo agli anni novanta/duemila. Con la prima traccia, "Ghost Echoes", le cose si fanno immediatamente chiare. Il brano è un perfetto ed energico apripista; distorsioni sature e ritmiche energiche e coinvolgenti che ci ricordano lo stoner degli Spiritual Beggars di 'Ad Astra' e non è un caso che venga citato proprio questo gruppo in quanto i nostri, seppur tedeschi, sembrano risentire molto delle influenze dell' Hårdrock scandinavo, il cui mood riecheggia in tutti i brani del platter. Il menzionato brano fa coppia con la successiva "Serpent Eyes" nella quale dominano ancora le sonorità calde e desertiche che riportano a gruppi quali i Kyuss ed in generale al filone stoner a cavallo tra gli anni novanta e duemila. "Born A Goddess" invece rappresenta il classico brano che viene inserito all'interno di un disco per smorzare i ritmi forsennati e farci riprendere fiato, specie dopo l'inizio col botto. Il riffing più cadenzato e trascinante, a tratti anche oscuro e sinistro, risente sicuramente delle influenze dell'occult rock rimaneggiato in chiave più moderna e personale. Ma tutta la guasconeria viene fuori con la coppia di brani "Vicious Tongue" e "Warhorse", veri e propri furbi atti di "captatio benevolentiae" dalle melodie azzeccate, catchy ed anthemiche con uno stile vocale che si avvicina quasi all'hardocore punk. Ma riprendendo quanto detto nel prologo di questa recensione, non possiamo non menzionare anche l'aspetto squisitamente "vintage" da rinvenirsi nelle trame delle nove composizioni di questo LP. Per sonorità "vintage" ci riferiamo in particolare al riffing che rimanda ai canoni classici della NWOBHM come in "Skyhammer", dove è possibile cogliere un intermezzo nel quale la coppia Tollkötter/Weisser intesse un'armonizzazione chitarristica quasi maideniana o in "Wolf in Disguise" dove spicca un riffing figlio degli anni ottanta. L'abilità dei nostri sta proprio nel far collimare alla perfezione due stili e due "epoche" diverse che in questo disco si fondono in un tutt'uno omogeneo che funziona e che risulta interessante e coinvolgente.
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