DEAD CITY RUINS: Never Say Die
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30/03/2018Ogni volta che mi capita tra le mani un disco proveniente dalla lontana Australia, so già che non mi pentirò di ascoltarlo. AC/DC, Rose Tattoo, Airbourne, Wolfmother (ci metto anche gli INXS perché piacevano a mia nonna), sono solo i primi nomi di grandi gruppi australiani che mi vengono in mente. Inoltre, la band non può che essermi immediatamente simpatica: le foto promozionali li presentano come cinque allegri e brilli cazzoni vestiti con roba di seconda mano che puoi trovare a Via Sannio sui banchi dei nostalgici del Flower Power. Dulcis in fundo, nelle note biografiche raccontano di una loro disavventura on the road e dei mille problemi che hanno avuto per suonare in apertura ai Mastodon. Indovinate dove? In Italia, naturalmente. A Roma per la precisione! Il titolo del disco e la camicia a frange del cantante sfoggiata in copertina mi hanno fatto pensare ai Black Sabbath. Ma come mio solito ho pensato una cazzata.
I Dead City Ruins suonano un interessante, corposo e ben fatto stoner rock che ha la capacità di non annoiare come la maggior parte delle produzioni recenti di questo genere. Nove canzoni (per un totale di soli 31 minuti), che non brillano per originalità, ma sono davvero ben composte e zeppe di ottimi riff, ritornelli orecchiabili, assoli carichi di feeling e ritmiche incisive. Il sound è molto settantiano, abrasivo e sporco come richiesto dal genere, molto live-attitude e senza troppi fronzoli. Le canzoni migliori sono a mio avviso l’opener "Devil Man", "Bones" e "The River Song". Vi consiglio vivamente l’acquisto di quest’album. La copia fisica, magari il vinile. Così possiamo permettere alla band di Melbourne di comprare vestiti migliori e un biglietto aereo per tornare in tour in Italia, magari senza intoppi stavolta. Tutto questo per dire che si fottano pure i canguri ed i koala. In Australia la vera attrazione è il rock’n’roll.
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