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MANILLA ROAD: MARK OF THE BEAST

data

24/04/2005
90


Genere: Epic Metal
Etichetta: Monster
Anno: 1981

Quella che sta dietro al progetto "Mark Of The Beast" è una bella storia. Era all'incirca il 1982, e un giovane metalhead americano, tale Phil Baker, si era perdutamente innamorato dei primi due lavori di una misconosciuta band del Kansas dal nome di Manilla Road, che faceva capo a un carismatico e colto chitarrista, un certo Mark Shelton che in "Metal" e "Invasion" aveva dato il via a quella che sarebbe stata una delle carriere più miracolose nella storia del metallo epico. Come spesso succedeva, questo ragazzino entusiasta contattò in men che non si dica Mark Shelton, chiedendogli se avesse nuovo materiale per quella band dal nome bizzarro. La risposta di Mark "The Shark" giunse nella maniera più sorprendente: un intero disco di materiale inedito a firma Manilla Road, composto e registrato nel 1981 e originariamente concepito come loro secondo album, progetto poi abortito perchè lo stesso Mark non era convinto della buona qualità del lavoro. E qui la storia si interrompe: molte copie di questo progetto, intitolato provvisoriamente "Dreams Of Eschaton", girarono abusivamente nella scena, ma la visibilità del prodotto fu pressochè nulla fino al 2002, quando il ragazzino entusiasta Phil Baker, divenuto presidente della Monster Records, decide di riprendere i contatti col suo eroe del passato e ristampare il lavoro con una degna rimasterizzazione, e nuovo titolo e copertina. E' così che i Sogni dell'Eschaton prendono vita e forma nuova sotto il Marchio della Bestia. Ed è così che i fan dei Manilla Road hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con un autentico capolavoro, che a dispetto della scarsa considerazione della stessa band, e dell'anno di uscita, non cessa di emozionare. "Eschaton" è termine ellenico difficilmente traducibile, se non con una vaga idea di destino ultimo dell'umanità, di apocalisse assoluta e inevitabile, di cosmico attrattore/distruttore finale dell'intero Universo. E come profeticamente affermato, i Manilla Road in questo disco hanno visto i Sogni di Eschaton, concretizzati in una serie di composizioni memorabili e difficilmente inquadrabili con le classiche coordinate del loro stile. Come la lunga (ma fiacca) suite "The Empire" del poco fortunato esordio "Invasion" annunciava, e il grande amore di Mark Shelton per le sonorità space rock degli Hawkwind lasciava presagire, lo stile dei 'Road prende qui una piega tutta particolare, orientata su un'atmosferico ibrido tra prematuro epic metal, torrenziale e sanguigno hard rock di matrice americana e malinconiche/atmosferiche ballad come solo i Manilla Road sanno comporre. La lunga durata dei brani (spesso si superano gli otto minuti) non deve trarre in inganno: le strutture del disco sono semplicissime, ripetitive ed essenziale. E nonostante ciò, "Mark Of The Beast" non annoia, anzi sorprende ed emoziona ogni volta con le sue trovate a metà tra leggenda e viaggio psichedelico. Mark Shelton è sempre un chitarrista d'eccezione, con i suoi solos virtuosi, e la sua voce seppur lievemente acerba acquista tutte quelle caratteristiche di bardico narratore che lo renderanno immortale interprete di caposaldi riconosciuti del metallo epico. E se qui è forse ancora presto di parlare di Epic Metal vero e proprio, vero è che i concetti basilari del genere sono stati interpretati, in questo disco, in una maniera unica, personale e (temo) irripetibile. Questa sorta di hard rock stregonesco in perpetua metamorfosi e dissoluzione, queste melodie perdute nel tempo e nel pentagramma, questi assoli continuamente instabili e suadenti, manifestano una proprietà che in pochi altri dischi si riscontra: quella di far viaggiare l'anima e la mente in un mondo le cui chiavi forse lo stesso Shelton non sapeva di avere, un mondo di sterminati paesaggi desolati, di guerrieri perduti e solitari, di follia e apocalittiche visioni, di amore e violenza stemperate nell'affresco che cristallizza al di là dal tempo le Visioni dell'Eschaton. Sono questi i dubbiosi ma vibranti momenti espressi in maniera sublime da autentici capolavori come "Mark Of The Beast", monumentale opener dove la dolcezza e l'oscurità si mescolano come miele e veleno, o nella dolcissima e spaziale "Venusian Sea" in cui arpeggi romantici e soffusi ci cullano tra nebulose e divinità interstellari, o nelle pieghe temporali di "Time Trap", ma anche nella poesia celtica di "Court Of Avalon", degni contraltari del terzetto ottantiano centrale "Black Lotus"/"The Teacher"/"Aftershock", che spezza a metà il disco con un'overdose metallica portentosa seppur ancora vagamente immersa nel sogno e nella magia. In un'ottica "storica" risultano determinanti brani come "Avatar" o "Triumvirate", dove l'alchimia del disco prende forma di puro e inequivocabile Epic Metal, battagliero ed evocativo in pieno stile Shelton, momenti degni delle ben più celebri "Metalstorm" o "The Veils Of Negative Existence". E nonostante l'indubbia caratura artistica, quest'album rimane un "nato morto". Un nato morto che però testimonia un'anima dei Manilla Road in futuro solo accennata da momenti delicati come "Dragon Star" o la mitologica conclusiva traccia di "Crystal Logic" che dal titolo originale di quest'opera prende il nome, quella "Dreams Of Eschaton" riconosciuta come una delle somme composizioni della band. E poter ascoltare gli incantesimi di questo disco ancora oggi è un piacere (e un dovere) per tutti i fan dei Manilla Road, giovani o consumati che siano.

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