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MACHINE HEAD: SUPERCHARGER

data

16/03/2005
45


Genere: Post Thrash
Etichetta: Roadrunner
Anno: 2001

E ‘sta roba sarebbe un disco dei Machine Head? Ahahah, grasse risate. Si, rido per non piangere. “Supercharger” (nome risibile ma comunque foriero di buone speranze circa la qualità del lavoro) è il quarto lavoro dei Machine Head e segue il valido “The Burning Red”, disco della svolta, della spaccatura per i quattro post-thrashers statunitensi; in una maniera totalmente inedita ed estranea al solito modus operandi di Flynn e compagni, rap e sonorità fortemente alternative si integravano al sound forgiato dalla band portandolo su un altro livello, purtroppo eccessivamente stemperato in quanto ad aggressività ma ugualmente buono. Questo nuovo ‘supercaricatore’ dovrebbe essere il seguito ideale di tale evoluzione, ma in verità i Machine Head ci scaricano addosso solamente pessime idee, brutte canzoni e noia a profusione per addirittura quattordici brani. L’opener “Bulldozer” è l’unica traccia che mantiene le promesse fatte dal titolo; riff spezzaossa, batteria triturante e tanta energia; ma già dalla seconda “White Knuckle Blackout” si rischia di farsi fregare dalla sonnolenza, dalla quale il ritornello della iper-commerciale “Crashing Around You” non vi salverà affatto. Per non parlare della ridicola “American High”, sorta di autobiografia del leader maximo Robert Flynn, sorretta da un riff veramente insulso. Si salvano, a malapena, le tre tracce conclusive: l’oscura e sulfurea “Trephination”, la dolce ballad “Deafening Silence” e la title-track degna di affiancare la già nominata “Bulldozer”. Insomma, se con “The Burning Red” la volontà, reale o meno, malafede o no, di seguire il trend nu metal aveva portato a un risultato acclamabile, “Supercharger” rischia di scontentare sia i fan affezionati della band, coloro che erano riusciti ad apprezzare pure il disco precedente, sia i ragazzini che vedendo Roadrunner e Machine Head fanno due più due sperando in un disco ‘nu’ con le palle. Non so di chi sia la colpa, se di uno sbandamento momentaneo di Flynn o della fastidiosa presenza di Ahrue Luster, ma “Supercharger” è proprio un brutto disco. Amen (chi coglie la provocazione vince una calorosa stretta di mano).

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