KING WOMAN: Created In The Image Of Suffering
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29/03/2017Prima prova su long playing per la band californiana King Woman che già dal nome fa capire di trovarci al cospetto di una band matriarcale, nata dalla costola di un progetto solista della carismatica mastermind Kristina Esfandiari. E' proprio attorno a lei che ruota l'intera compagine statunitense, lei è la sacerdotessa che governa e scandisce questo cerimoniale composto da otto tracce che trasudano un romantico decadentismo: amore, morte e una forte componente spirituale raccontati dal suo malinconico lamento. L'intero disco gioca sulle atmosfere claustrofobiche, sulle linee melodiche ripetitive e ossessive tipiche del drone, rese minimali e roboanti dall'uso di massicce dosi di distorsione in un ambiente dove il riverbero cavernoso gioca un ruolo fondamentale nella creazione della giusta atmosfera. Dopo un breve intro, presente come bonus track nella versione digitale, subito siamo catapultati nel vivo di questo oscuro lavoro; "Utopia" è la sintesi, l'essenza dei King Woman, con le sue linee ritmiche ripetitive e le sue ambientazioni ossessive e cupe cui abbiamo già fatto riferimento. "Deny" è un cantico poetico nel quale si apprezza la vocalità soprattutto espressiva di Kristina, dotata di una timbrica calda che si discosta dai clichè delle comuni vocalist femminili, universo popolato dalle solite voci stereotipate. Con la sofferente e supplichevole "Shame" termina la "parte breve" del disco ed inizia una ideale seconda parte dove si fanno più presenti i richiami alla religiosità ed al misticismo: brano chiave è la rappresentativa "Hierophant" che merita una menzione particolare per essere uno dei brani più riusciti dell'intero disco e che da solo ne meriterebbe l'acquisto. Lo Ierofante, colui che nella mitologia greca era il sacerdote di più alto grado che aveva il compito di spiegare le sacre scritture, qui rappresenta una preghiera struggente d'amore: "If you're the sacred script I am the Hierophant You're never ready". Il brano di ben 8 minuti scorre languido e fluido senza appesantire l'ascoltatore, portando con se le sue malinconiche invocazioni per farle approdare sui lidi di un'altra composizione pregna di significati spirituali; "Worn". Logoro, rappresentazione del dissidio interiore, una mancanza di liberazione ed una innocenza perduta sono il leitmotiv che si ripete in maniera assillante e che si legge tra le righe del testo, che come tutti, porta la firma della vergine oscura Kristina Esfandiari. Altro pezzo che merita una medaglia appuntata sul petto è la conclusiva "Hem", anche questo, come "Hierophant", dalla durata di circa 8 minuti, è un condensato di immagini poetiche collocate all'interno di un testo che come tutti i precedenti, racconta. Racconta i pensieri più intimi e le riflessioni più pure mettendo a nudo l'anima dell'artista "sedotta dall'intorpidimento", nel tentativo di raggiungere un lembo di cielo (citando dal testo) in una spasmodica ripetizione mantrica e catartica. Addentrarsi nell'ascolto di un disco simile è come addentrarsi nella lettura di un libro, capire i sentimenti leggendo lo specchio dell'anima di chi li ha scritti, cercando di immedesimarsi nei drammi esistenziali, nella sofferenza, ma anche nella malinconia del sentimento amoroso di cui questo disco, nel bene e nel male, sembra esserne pregno. Al termine del suo ascolto possiamo però ancora percepire quella scintilla di vita che ci porta a superare tutto lo "spleen" in cui questo grandioso disco è avvolto.
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