HELLFIRE: REQUIEM FOR MY BRIDE
data
30/06/2005Non c'è che dire, i valorosi ellenici della Sonic Age stanno facendo un lavorone nel promuovere giovani e meritevoli band non solo gravitanti attorno all'orbita mediterranea: questi Hellfire, esordienti assoluti su full-lenght, vengono niente meno che dalla Polonia, e per questo loro debutto non si può parlare d'altro che di graditissima sorpresa. "Requiem For My Bride" è un concept, per la quale ispirazione i nostri non nascondono di aver assunto corpose dosi di King Diamond e i suoi due "Abigail", ma che musicalmente si getta su versanti indubbiamente più ferini e aggressivi, ricordando un altro grande disco con protagonista femminile, lo storico "Alice In Hell" firmato Annihilator, band che per gli Hellfire sembra costituire un'autentica musa ispiratrice. E' thrash metal nella sua accezione più creativa, melodica e tecnica quello dei polacchi, techno-thrash come qualche appassionato di etichette usa ancora dire: e in pieno omaggio allo stile che fu di Jeff Waters e soci, le chitarre di Artur Grabowsky sfoggiano una ricca dose di riff intricati e mai banali, in costante inquietudine tra diverse anime di uno stile omogeneo ma ricco di rimandi a numerose (e valide) scuole di chitarra heavy metal; non poche volte l'acida ruvidità di riff al vetriolo rimanda ai Savatage più cruenti, ma non mancano le inflessioni neoclassiche, memori forse della grande lezione impartita dai Cacophony con l'imprescindibile "Speed Metal Symphony". Notevole anche la prova offerta dal singer Tomasz, valido tecnicamente e di indubbio vigore espressivo, per certi versi simile al miglior Mustaine dei tempi che furono (e visto lo stile dei nostri i paragoni coi Megadeth sono più che ovvi), brillante e aggressivo come si conviene a un thrasher fieramente bellicoso ma sapientemente calibrato. La cosa più bella degli Hellfire è però una capacità compositiva decisamente sopra la media, in cui più volte il thrash si incontra con la poesia oscura dei Mercyful fate e dove i brani riescono a coinvolgere ed ispirare nonostante l'intricatezza di certe soluzioni melodiche, mentre le ritmiche nonostante cambi di tempo repentini e disarmanti, risultano più accessibili, svolgendo il loro lavoro ed evitando (con una sobrietà che non si può non premiare) di mettere troppa carne al fuoco. Se il disco, effettivamente, non riesce a mantenere alta la tensione per tutto il minutaggio, non si può negare la validità di brani come "The House" e i suoi refrain possenti, o i richiami Friedman/Becker dell'opener "Road To Hell". Incredibili i passaggi terzinati di "Needle Dance", in cui si nota come i dischi del Re Diamante siano stati letteralmente consumati da questi ragazzi, e capaci di creare un vero e proprio precedente tramite una fusione ottimamente riuscita col sound più rimodernato di mazzate mid/tempo del calibro di "Twisted Knife". Il problema è, come detto, l'eccessiva concentrazione di ottimo materiale in partenza, e il rallentamento (anche tempistico) conseguente sul finire, ma si tratta senza dubbio di peccati veniali nel contesto di un disco comunque ottimo e incredibilmente maturo, per una band che non tarderà a farsi apprezzare!
Commenti