CORONER: Dissonance Theory
data
18/10/2025I Coroner non tornano, riemergono. E quando lo fanno, non chiedono permesso. 'Dissonance Theory' non è nostalgia, non è un ritorno alle origini, non è neanche una di quelle operazioni goffe in cui i dinosauri del thrash si aggrappano ai ricordi. No. Qui c’è lucidità, c’è fame, c’è controllo. "Oxymoron" apre il disco con un’atmosfera fatta di campionamenti e tensione, un’intro strumentale che sembra dirti: "Se non sei pronto, è meglio che te ne vai adesso." Poi parte "Consequence", e capisci subito che non stai ascoltando un disco qualunque. Riff che ti segano in due, batteria che non ti lascia respirare, tutto suonato con una cattiveria e una precisione chirurgica che ricorda i momenti più spietati di 'Grin', ma con un suono ancora più pesante, più tirato, più presente. Tommy Vetterli sfoggia un assolo che non è solo tecnica: è veleno distillato. "Sacrificial Lamb" ti frega all’inizio perché ha quell’andatura che ti fa pensare ai Gojira. Ma dura poco. Poi arrivano quegli stacchi storti, i riff fuori asse, quelle linee melodiche piegate su sé stesse, e capisci subito che sei in territorio Coroner. Il break centrale è un piccolo gioiello: suona moderno, ma è pieno di identità, e l’assolo è fluido, melodico, quasi dolce, finché non ti riporta in faccia la brutalità del pezzo. "Symmetry" è dove qualcuno potrebbe dire: “uh, questo sa un po’ di Arch Enemy”. Sì, magari. Ma non scherziamo!! Se c’è una band che ha scritto le regole che gli altri seguono, sono i Coroner. Quello che senti qui non è imitazione, è dominio. Il riffing è teso, la sezione ritmica spinge, ma è sempre quella voce lì, quella di Ron Broder a riportarti alla realtà: sei ancora nel loro mondo. E ci resti. "Renewal" è la piccola sorpresa: nel mezzo c’è un passaggio che ha un sapore quasi metalcore, ma viene trattato come si tratta una spezia rara: con attenzione, con parsimonia, senza abusarne. E funziona alla grande. I Coroner non devono dimostrare niente a nessuno, ma lo fanno comunque. E lo fanno meglio di tutti. Questo disco è pieno di dettagli, di incastri, di aperture improvvise. Le atmosfere, i campionamenti, quella strana sensazione di galleggiare nel vuoto prima che ti arrivi una mazzata sui denti: tutto ha un senso, tutto torna. È 'Grin', 'Mental Vortex', 'No More Color', ma aggiornati, riscritti, ripensati con la consapevolezza di chi ha vissuto abbastanza da non dover più chiedere il permesso a niente e a nessuno. Questo non è un tributo al passato. È un atto di vera forza nel presente. Indubbiamente album dell'anno.


Commenti