FROST*: Day And Age
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03/06/2021I Frost* tornano con un nuovo full-length, intitolato "Day And Age". La band britannica è di fatto diventata un trio, con il bassista Nathan King che ormai si è unito in pianta stabile insieme a Jem Godfrey e John Mitchell. Per la batteria, i tre hanno optato per collaborare con musicisti diversi, coinvolgendo alla fine ben tre percussionisti, ovvero Kay Rodriguez (Chaka Khan, Josh Groban), Darby Todd (The Darkness, Martin Barre) e Pat Mastellotto (Mister Mister, King Crimson). Una scelta, questa, che ha in effetti permesso alla band di avvalersi di soluzioni alquanto differenti, dato che ciascuno di loro ha apportato il proprio stile e il proprio background. Una certa varietà si riscontra, per la verità, un po' in tutta la tracklist, anche perchè alcuni brani sono stati composti in contesti completamente differenti. In particolare, alcune tracce ("Skywards", "Island Life" e la titletrack), sono il risultato di una settimana trascorsa insieme da Mitchell e Godfrey nel Settembre del 2019 in un cottage in Cornovaglia; un altro gruppo di canzoni, invece, è stato composto nel Gennaio del 2020 dai tre in uno studio ricavato da una ex torre della Guardia costiera, a ridosso del mare e nelle vicinanze di un faro: un'ambientazione ben differente, con il mare fuorioso in pieno inverno e la luce del faro che si spandeva nella fitta nebbia, che ha portato a un mood decisamente diverso e più dark rispetto agli altri brani. La titletrack è una traccia alquanto particolare, che si articola nell'arco di oltre undici minuti: vi si possono così ritrovare vari temi, con echi ottantiani, che fanno pensare ai Genesis di Phil Collins e persino cori che rimandano ai Police, ma anche di voci bianche, tra splendidi giri di basso e sciabolate di chitarra. Decisamente più dirette e lineari sono "Skywards", dotata anche di un refrain alquanto catchy e "Island Life", dove si ravvisano influenze degli Spock's Beard, mentre "Repeat To Fade", nella sua linearità, finisce per diventare al contrario quasi ossessiva, a tratti persino angosciante. Molto particolare e alquanto originale, ma forse ancora più ossessiva, è "The Boy Who Stood Still", guidata principalmente dalla voce dell'attore Jason Isaacs, attorno alla quale viene costruito un impianto di effetti sonori, spesso anche qui con un approccio alquanto ottantiano e una splendida sezione ritmica, con l'inserto anche di efficaci cori. Alquanto varia e cangiante è pure "Kill The Orchestra", una traccia che impiega un po' per partire a tutti gli effetti, ma che poi diventa abbastanza intrigante. Un paio di altre tracce appaiono meno ispirate ma, in generale, "Day And Age" risulta in effetti un po' altalenante, legato ad una tradizione prog che cerca di innovare, senza però osare o sviluppare pienamente soluzioni che magari vengono abbozzate senza poi andare fino in fondo. La nostra sensazione è che le idee siano state buttate giù in maniera estemporanea, nella fretta di completare il processo compositivo entro certi termini prefissati, per cui poi queste hanno finito per prendere forma procedendo talvolta a sprazzi, con una certa disomogeneità tra le varie tracce. Diciamo che i Frost* attuali sono un po' distanti da quelli dei primi album: il loro prog è, in generale, meno complesso e meno tecnico di un tempo, c'è qualche passaggio più duro, anche se forse meno che in passato; viene comunque mantenuto un approccio che tende ad essere più moderno, per quanto legato e influenzato da un prog più classico. Proprio sotto quest'aspetto, i Frost* a nostro avviso non sono riusciti a definire una volta per tutte una sintesi ottimale tra quello che è il loro background e quello a cui sembrano voler tendere con la loro musica. Quando riescono in questo, i risultati sono davvero notevoli, però non sempre ciò accade: considerando peraltro che si tratta ormai del quarto full-length in quindici anni per questo progetto di Godfrey, poteva essere legittimo attendersi qualche passo in avanti in tal senso, per cui, pur essendo comunque senz'altro un buon disco, nonostante ciò "Day And Age" finisce per risultare, in realtà, di fatto, un po' inferiore alle aspettative.
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