DREAM THEATER: AWAKE
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14/05/2011I Dream Theater venivano dal grandissimo successo del precedente 'Images And Words', e da un tour mondiale di altrettanta caratura e risonanza quando iniziarono a lavorare ad 'Awake'. Il disco avrebbe avuto l'arduo compito di confermare o meno la band all'apice del prog metal mondiale, e poterla trasformare nel gruppo di riferimento per gli tutti amanti del genere. Registrato nella prima metà del 1994 il disco arrivò sugli scaffali lo stesso autunno, preceduto però da una notizia che gettò nel panico molti fans e portò a diffidenza verso il disco steso: la dipartita dal gruppo di Kevin Moore per divergenze musicali con il resto della band. Questa improvviso scoop, unito al fatto che 'Awake' si presentava con sonorità abbastanza distinte da 'Images And Words', fece storcere il naso a qualcuno subito dopo la pubblicazione, cosa che però con il passare degli anni si è affievolita per portare tutti a giudizi più obiettivi sul disco in questione. 'Awake', infatti, ha un'anima sua del tutto autonoma, e vira decisamente a sonorità più forti e cupe rispetto al passato dove la parte da maggiore la fanno le chitarre di Petrucci, per la prima volta con una sette corde, e la maggiore presenza di Portnoy. Moore è più relegato in secondo piano (già aria di rottura durante la stesura dei brani?), e quindi la resa finale dei brani è più di impatto e più cattiva. Pezzo dopo pezzo si può apprezzare una band arrivata ad un apice di capacità compositiva, artistica e esecutiva di grandissimo livello dove ogni cosa è fatta nel modo migliore senza un benché minimo accenno di appannamento. LaBrie si dimostra in gran forma e raggiunge delle vette che forse negli album successivi arriverà a toccare sporadicamente. Su tutte la tracce emerge il trittico di "A Mind Beside Itself", chi non ha mai cantato in estasi ai loro concerti "Voices" ad esempio, e la potente "Lie"; in ogni caso bisogna dire che ogni brano starebbe benissimo in una raccolta dei migliori pezzi prog metal. Menzione particolare e d'onore per la conclusiva "Space Dye Vest", unico pezzo dove l'estro di Moore trova ancora spazio e riprende il comando: un epitaffio d'addio dalla band ed un omaggio a tutti i suoi fans delusi dalla sua dipartita.
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