COMMUNIC: WAVES OF VISUAL DECAY
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13/06/2006Disco numero due per i Communic. Nulla di che, al secondo ci arrivano un po' tutti. Senonché il primo lavoro di questi tre pazzi furiosi mi aveva detto qualcosina, mi aveva dato un'impressione di promessa buttata lì. Ragion per cui l'occasione di dare un'ascoltata al secondo parto di Stensland e soci l'ho colta ben volentieri. Ricordavo abbastanza bene l'impressione positiva di "Conspiracy In Mind", ed ero molto curioso di vedere se i "nostri" fossero stati in grado di mantenere le promesse fatte. Pugno nei denti. Disorientamento. Stupore, come mentre senti il sapore dolce del sangue in bocca ed ancora non capisci bene se sia il tuo. Spengo lo stereo, accendo una sigaretta e ci penso: riproviamo. La potenza di "Under A Luminous Sky" mi travolge per la seconda volta. Urla nella notte. Il mio vicino gradirebbe che abbassassi il volume. Io gradirei che stesse zitto, se continua così mi rovina l'ascolto. Quindi alzo il volume. La vista di mia sorella che sta per lanciare il mio stereo dalla finestra mi fa capire che è ora di passare all'ascolto in cuffie. Peccato. Qualora non si fosse capito, questo disco, come si suol dire in gergo, spacca di brutto. La lezione di Maestro Lemmy ha insegnato al mondo che si può creare un terremoto in tre, ed i Communic l'hanno imparato. Il sound è estremamente pesante, quasi grezzo, affinato solo dalle tastiere (comunque relegate ad un ruolo solamente riempitivo), e pesca da chiunque abbia saputo dire qualcosa di originale in termini di pugni nei denti (ovviamente a livello musicale) senza essersi discostato troppo dall'Heavy classico (ed in questo stupisce la distanza dal primo lavoro della band, decisamente più legato agli schemi classici del Thrash e del Prog): ritmiche terrificanti, fatte di tappeti di doppia cassa che esplodono in sordi boati su rullate strozzate e piatti bui, quasi tetri; basso e chitarra che si rincorrono con stile e studiata lentezza, per poi lasciarsi andare a rapide ed improvvise cavalcate, brevi scatti che rendono ancor più imponente il corpo del pezzo. E su tutto, Oddleif devasta: si impone con una voce che sembra venire dalle sponde dello Stige, versatile, quasi sinuosa, stupisce per estensione ma soprattutto per la carica angosciosa che imprime ad ogni vocalizzo. Certo, l'effetto generale che permea tutto il disco rende l'ascolto un po' lungo, a maggior ragione se si consideri che si tratta di soli sette pezzi (sette, sì, ma di durata degna di nota), ma a mio parere pezzi del calibro della struggente "Watching It All Disappear" o della mastodontica "Fooled By The Serpent" valgono ogni secondo di ascolto, ogni attimo di tempo dedicato a questo ipnotico disco.
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