THE MURDER OF MY SWEET: Beth Out Of Hell
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05/09/2015Si riparte da dove si è fermati. Ovvero dai pezzi finali del precedente “Bye, Bye Lullaby” del 2012, che hanno rappresentato un’anticipazione di quello che è il terzo album degli svedesi The Murder Of My Sweet, intitolato “Beth Out Of Hell” e realizzato, come i precedenti, tramite l’italiana Frontiers Records. In quest’occasione si accoglie un nuovo entrato nella band di Stoccolma, e si tratta di Patrik Janson, già bassista nei Platitude. A giocare un ruolo importante, come anche nei precedenti album, è l’affascinante cantante Angelica Rylin, rappresentata nella copertina dell’album come una diavolessa dall’aspetto provocante, ma che, rappresentando invece il male, cerca di appiccare il fuoco verso la metropoli sullo sfondo. La sua voce è molto melodica e paragonabile a quelle di interpreti quali, ad esempio, Veronica Freeman e Ji-In Cho. Infatti le sonorità della band si rifanno ad una hard rock melodico, tendente all’AOR, sulla scia di quanto già fatto dalle band di cui alle cantanti citate poc’anzi, e rispettivamente Benedictum e Krypteria. Ci sono anche elementi symphonic a sorreggere l’apparato complessivo della proposta musicale, ed a simboleggiare quello che vuole essere il vero significato dell’intero album: una lotta continua tra il bene e il male, affrontata attraverso una storia che ha molto del cinematografico; e lo si denota dall’andamento dell’album, che è sempre in continuo svolgimento e non ammette pause tra una traccia e l’altra. Il mixing è stato ideato con l’intenzione di concepire l’album come un libro da sfogliare e da leggere dall’inizio alla fine in una botta sola. Ad aumentare questa sensazione di racconto in continuo divenire, c’è l’inserimento di diverse voci che personificano gli attori della storia, nella quale Angelica gioca il ruolo sia di narratrice, ma anche di protagonista principale, e che danno un discreto contributo all’album. Tra i capitoli della storia spicca “Still”, che ha in sé un ritornello molto catchy in grado di addentrarsi nella mente dell’ascoltatore in pochi istanti, grazie anche alla prestazione vocale di Angelica e all’accompagnamento musicale che la sostiene, in particolare le tastiere del fondatore Daniel Flores, che oltre a suonare la batteria, si destreggia in quest’album anche sui tasti bianchi e neri con risultati apprezzabili. Alle quali seguono dei capitoli più rockeggianti, come “The Humble Servant” e “Euthanasia”, che usano ritmi e fraseggi più sostenuti grazie al connubio ben presente tra chitarra e batteria, e “Poets By Default”, nella quale l’esecuzione vocale della Rylin ben si amalgama tra i tappeti di tastiere e le linee di batteria. Il tutto mantenendo un certo livello di melodicità che serve a stemperare il pezzo. In generale, è la seconda parte dell’album a risultare più convincente e coinvolgente. Ne consegue però che per arrivare a quel punto, c’è una prima parte da dover ascoltare, che invece risulta meno espressiva nonostante le qualità vocali della Rylin. Nonostante il minutaggio davvero imponente (circa 70 minuti di musica), serve senz’altro qualche ascolto in più per provare ad assimilare l’album nella sua interezza, ed il timore più grande potrebbe essere quello di un album che verrà ricordato solo per alcuni momenti dell’interpretazione vocale di Angelica Rylin, sì interessante ma non così tale da poter raggiungere il top delle vette emozionali, e per alcuni sprazzi di bel gioco (usando termini sportivi) creati dal resto della band.
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