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STRUNG OUT: EXILE IN OBLIVION

data

18/10/2005
85


Genere: Punk
Etichetta: Fat Wreck Chords
Anno: 2004

Quello che mi trovo fra le mani è l’ultimo album dei californiani Strung out, a giudizio di chi scrive fra massimi esponenti mondiali del melodic punk. Questa band si è sempre segnalata all’attenzione del pubblico e dei critici per la sua versatilità, vale a dire per la disponibilità a contaminare il proprio sound con elementi estranei, il che ne ha fatto una delle band più innovative del panorama punk internazionale. Questo album rispecchia appieno questa versatilità alla quale accennavo poc’anzi, e se da un lato risulta facile inquadrare la band nel genere melodic punk, d’altro canto risulta invece molto difficoltoso riuscire a distinguere tutte le influenze che permeano il sound della band: all’orecchio risaltano subito le influenze metal, evidenti soprattutto negli assoli, magistralmente eseguiti dalla coppia Jake Kiley/Rob Ramos (bravissimi!) alle chitarre; emergono talvolta anche elementi hardcore, rilevabili soprattutto nei patterns di batteria, e spesso il suono sfocia nell’emocore, sorta di punk estremamente melodico e smielato, fino a trovare persino dei passaggi quasi dark. La presenza di influenze così diverse fa sì che ad un primo ascolto il sound appaia come un bel crossover, diverso però da qualunque altra cosa sia mai stata classificata sotto questo nome. Ma adesso passiamo al disco. E’ questo il quinto lavoro della band (esclusi 2 Ep), a mio parere l’album definitivo, quello rappresenta l’apice della loro carriera artistica fino a questo momento. Mai gli Strung Out erano riusciti a fare di meglio, sebbene la loro carriera sia costellata di successi artistici (e, talvolta, anche commerciali) non indifferenti; con questo album sono riusciti a far emergere tutta la classe e la capacità compositiva di cui sono capaci, sfornando un gioiello di rara bellezza. L’album si apre con la bellissima opener “Analog”, che dopo una breve intro ci spara un potentissimo riff harcore, giusto per farci capire bene le intenzioni della band: manifestare tutto il loro disagio nei confronti di una vita che non riesce più a dare soddisfazioni, in cui sembra che solo la musica riesca ancora a trasmettere emozioni. I testi sono decisamente doom, tanto per intenderci, con titoli come “Katatonia” o “The misanthropic principle”, e molto ricercati non solo come contenuti ma anche dal punto di vista lessicale. A seguire troviamo un’altra perla, “Blueprint of the fall”, con un main riff da far sbiancare qualunque chitarrista, alla faccia di chi dice che il punk non è tecnico e un magnifico assolo nel finale del pezzo. Altri pezzi a mio parere degni di una particolare menzione sono “No voice of mine” e “Anna Lee”, d’impostazione lievemente più punk-rock rispetto agli altri, e “Swan dive”, certamente una delle migliori tracce del disco, con delle linee melodiche veramente magnifiche. Ciò che mi ha maggiormente colpito dopo aver ascoltato attentamente “Exile to oblivion” è la qualità del songwriting complessivo dell’album: sembra infatti che ogni pezzo sia stato composto e arrangiato dopo mesi e mesi di lavoro, cosa decisamente insolita per un gruppo punk, in quanto questo è un genere caratterizzato dalla spontaneità delle composizioni, proprio ciò sembra più lontano dagli Strung Out. Forse è proprio questa l’unica critica (sempre che lo sia) che si potrebbe muovere a questo capolavoro: l’eccessiva complessità di alcuni pezzi, che può ad un primo impatto spiazzare un ascoltatore poco attento. Ad ogni modo questo disco si candida di diritto al titolo di migliore uscita punk del 2004.

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