SOILWORK: STEELBATH SUICIDE
data
17/03/2005E’ davvero un bagno di acciaio fuso il debutto datato 1998 (in tempi non sospetti dunque) degli svedesi Soilwork, sestetto ormai alle vette delle classifiche metal e tristemente lontano dalle furiose scorribande sfoggiate nei primi capitoli della loro storia. “Steelbath Suicide” vede i nostri alle prese con uno swedish death davvero aggressivo, veloce e direttamente mutuato dalla scuola scandinava più classica che vede At The Gates ed Entombed in testa, senza dimenticare la lezione dei Judas Priest specialmente nelle parti soliste, durante le quali Wichers e Svartz (che sarà presto sostituito da Ola Frenning, tuttora in forze nella band), tecnicamente eccellenti, duellano furiosamente ricordando i ben più noti Tipton e Downing. L’apertura della melodica e strumentale “Entering The Angel Diabolique” conduce direttamente alla sparatissima “Sadistic Lullabye”, durante la quale salta subito all’orecchio la voce al vetriolo di Bjorn “Speed” Strid, allievo di Tompa senza dimenticare i grandi nomi del thrash, Tom Araya su tutti, e l’ottimo gusto per gli arrangiamenti sfoggiato durante tutto il corso del disco. Dalla prima all’ultima nota non c’è un attimo di respiro e lo stillicidio continuo perpetrato dai sei ragazzi si conclude con “The Addvark Trail”, tuttora uno dei brani migliori mai scritti dai Soilwork, che con la loro opera prima “Steelbath Suicide” cominciano la scalata verso l’olimpo del metal. Anche se un po’ acerbo, un disco decisamente importante per la scena svedese e per l’evoluzione che la stessa ha avuto negli ultimi anni; e, inoltre, un lascito di ben altra caratura rispetto alle scialbe prove in studio fornite recentemente dalla band (“Figure Number Five” e “Stabbing The Drama”).
Commenti