OPERATION: MINDCRIME : The Key
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22/09/2015Liberi di crederci o no, siamo davvero rimasti basiti dopo aver ascoltato ciò che è venuto fuori dal progetto elaborato da Geoff Tate, proprio colui che assieme a Chris DeGarmo ha segnato una svolta fondamentale nell'evoluzione del sound prog-metal: pietre miliari come 'The Warning, 'Rage For Order' e soprattutto 'Operation Mindcrime' hanno fatto sognare e continueranno a farlo nel tempo, e ci sentiamo di ribadirlo anche in questa recensione. Purtroppo lo split con i Queensryche e le brusche modalità con cui è avvenuto devono aver lasciato un trauma al vocalist visto che pochi mesi dopo l'evento è uscito il suo disco solista, l'inutile 'Kings & Thieves' passato del tutto inosservato, e che si è rivelato soprattutto un'occasione mancata per dimostrare al mondo intero e in particolare ai suoi ex compagni la sua imprescindibilità. Nel tentativo di rievocare gli antichi splendori Geoff, avvalsosi di musicisti dall'indubbia caratura e che potete tranquillamente visualizzare a fianco della recensione, dà alla luce questa creatura con un monicker proprio uguale a quel colossal discografico del 1988, ed un logo sfacciatamente simile al giglio queensryciano: un espediente per finalità auto-promozionali? Al di là di questo aspetto sul quale potremmo discuterne a lungo, ciò che ci ha lasciato inorriditi è piuttosto il risultato finale di questo lavoro, con brani che definire deludenti è un eufemismo, forse infimi sarebbe il termine più consono da utilizzare. I musicisti sembrano suonare in modo svogliato e questo sembra aver trascinato anche Geoff, mai percepito con un tono così dimesso. In effetti ci chiediamo come diavolo sono venuti fuori bestialità sonore come "Burn", un simil grunge che fa rivoltare nella tomba Layne Stanley, oppure "Ready To Fly" costruita attorno ad una linea di basso su cui si collocano riff psichedelici e voce lagnosa di Tate; una cantilena che diventa fastidiosa in un brano come "The Stranger" che lascia il passo ad un cantato rappato assurdo, uno scempio in termini musicali che nemmeno i peggiori Slipknot e R.A.T.M. sarebbero in grado di esprimere. Il resto del materiale, sempre di profilo molto modesto, rimane imprigionato nelle sabbie mobili di chitarre arpeggiate, suoni computerizzati di bassa lega e breakdown. L'unico brano che cade in piedi lo potremmo ricercare in "Reinventing The Future", tentativo che comunque non va a buon fine nel porre le basi di un futuro che parta dal passato perchè quell'aroma di class metal nelle chitarre e nel tappeto dei tasti di avorio si avverte solo in minima quantità nelle vocals, vuoi per l'età non più verde, vuoi per quell'aura di tristezza mista a claustrofobia che ha preso sempre più campo nell'animo di Geoff, mentre la ballad "The Fall" è fortunatamente la fine dell'agonia, canzone emblema di un'artista caduto in disgrazia. Non ci sentiamo in condizione di far rientrare 'The Key' tra le uscite prog metal dell'anno perchè l'esito finale non è progressive, ma un melting-pot di vari stili che ha generato un ammasso sonoro senza capo nè coda.
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