ODIN: FIGHT FOR YOUR LIFE
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24/10/2005Ottimo metallo di classe per questo gruppo di americani nel quale milita anche il chitarrista degli Armored Saint Jeff Duncan, noto per aver sostituito con umiltà e determinazione il grandissimo David Pritchard deceduto prima dello storico “Symbol Of Salvation”. In realtà gli Odin sono riconducibili solo in parte alle sonorità dei ben più celebri guerrieri di Los Angeles. "Fight For Your Life" infatti è un album che ricorda sì il classico heavy metal americano, ma che non dimentica di fare riferimento costante anche all’hard rock degli anni ottanta. Potremmo appuno far rientrare il gruppo nella categoria del cosiddetto “class metal”; quindi aspettatevi suoni cromati e melodie di facile presa (tra l’altro anche molto belle), ma anche una discreta tecnica e brani potenti e relativamente articolati che lasciano trasparire l’influenza del miglior metallo americano. “12 O’Clock High” è un pezzo di apertura disinvolto e decisamente immediato, capace di trasportarci indietro nel tempo perlomeno di una ventina di anni… Meno intensa la successiva “Love Action”, nella quale le melodie un po’ ruffiane prendono il sopravvento a scapito dell’originalità. Anche a una canzone come “I Get What I Want” potremmo rivolgere la stessa critica. Nulla di tragico, per carità, ma a mio avviso sono pezzi come questi che abbassano leggermente la media qualitativa dell’album impedendogli di sfondare davvero. “She Was The One” è invece una valida ballata rock dalla melodia azzeccatissima, così come l’altrettanto convincente “Modern Day King”. Il perfetto equilibrio tra tutti gli strumenti (elemento distintivo del genere) e la notevole voce di Randy "O" Roberg sono già evidenti in queste prime tracce, ma la parte migliore dell’album è senz’altro quella conclusiva. È in base alle prossime canzoni che sarebbe opportuno valutare gli Odin ed è qui troviamo la splendida melodia di “Stranger Tonight”, i ritmi incalzanti di “Time and Time Again” e i pesanti riff heavy metal di “Push”. Peccato per quel piccolo neo che è “I’m Gonna Get You”, un po’ sottotono per stare in mezzo a bei pezzi come questi. Ottima anche la title track che chiude alla grande un album di tutto rispetto nonostante la relativa discontinuità.
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