MOTORPSYCHO: Kingdom of Oblivion
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26/04/2021Credo che non esista un album brutto dei norvegesi Motorpsycho, e questo pensiero viene confermato dopo l’ascolto del nuovo album del power trio, ‘Kingdom of Oblivion’, uscito anch’esso per la fedele Stickman Records. Una band che ha una prolificità di idee ed una continuità di rendimento tra le più ampie del rock contemporaneo; aspetti che non vengono minimamente intaccati anche dopo aver ascoltato il loro ultimo capitolo, settanta minuti di ottima musica. Si parte con “The Waning”, un brano diviso in due parti, dove nella prima si distinguono ritmi stoner in stile Kyuss di “Gardenia”, con i riffoni di chitarra e la ritmica piuttosto dirompente, e l’andatura progressiva in pieno stile Motorpsycho, che si fa via via più presente soprattutto nella seconda parte del brano. Come da tradizione gli album dei Motorpsycho sono densi di autentici viaggi musicali, dove si cavalcano atmosfere sognanti e traversate spaziali. Tra i vari capitoli di ‘Kingdom of Oblivion’ degni di queste caratteristiche, si inserisce a pieno titolo ”The United Debased”, che tra incursioni rock contemporanee e spunti più vintage, donati soprattutto dagli inserimenti dell’hammond, dona forti emozioni. Nonostante ciò, l’album contiene anche episodi più interlocutori, caratterizzati soprattutto da sonorità molto più tranquille e senza particolare spinta, come “The Watcher” (cover del brano degli Hawkwind) ed “Atet”, contenenti comunque una qualità di fondo. In questo frangente si sarebbe potuta inserire anche “Dreamkiller”, se non fosse che all’improvviso irrompe un giro di chitarra e suoni space, che squarciano il cielo e ci proiettano nelle classiche atmosfere della band norvegese, tra spazio e realtà. Un altro viaggio musicale è “At Empire’s End”, che denota il fatto che i brani dal minutaggio più elevato risultano essere i più riusciti dell’album. La voce di Bent Saether, come in tutti i brani in cui mette in mostra le sue abilità vocali, si staglia su basse tonalità, poco più che accennata, risultando perfetta per le atmosfere particolarmente intriganti contenute nel brano. Un brano particolare risulta essere “The Hunt”, un brano che si struttura su una costante chitarra acustica dove si appoggiano sonorità quasi fischiettanti dovute alle tastiere; qui entra in gioco la voce di Ryan, che si alza a tal punto da prendere quasi in prestito la vocalità di un personaggio come Sting. Ad un certo punto, ci si chiede se canti davvero la leggenda inglese… L’ennesima esperienza musicale ce la regala “The Transmutation of Cosmoctopus Lurker”, circa dieci minuti di un mondo musicale parallelo dove fanno capolino arpeggi di chitarra davvero propositivi e che il buon Hans Magnus Ryan spinge continuamente. I Motorpsycho, dopo oltre trent’anni di carriera, si confermano essere una band dalla qualità ineccepibile, che difficilmente compie passi falsi. Un’autentica garanzia del rock contemporaneo, e che si spera continui ad avere quella continuità di ispirazioni che è solo vitamina per la mente di un’artista.
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